30 Novembre 2021

Spiragli di umanità lungo la Siesta

A Gibuti, trampolino africano verso i paesi arabi, transitano molti migranti. Inclusi tanti minori. Che finiscono sulla strada. Dove li incontra Caritas


Boulevard of Broken Dreams è forse il brano musicale più noto e più iconico della band pop-punk californiana dei Green Day. Esso esprime tutta la desolazione che vivono i giovani americani fuggiti dall’America profonda e arrivati nelle grandi città della costa ovest in cerca di ribalta, ma senza trovare successo. Anche a Gibuti, migliaia di chilometri e due continenti più a est, esiste un viale dei sogni infranti, dove innumerevoli ragazzi e ragazze arrivati dall’Etiopia devono fare i conti con una realtà molto lontana da quella immaginata prima di partire.

La Route de la Siesta della città di Gibuti – capitale dell’omonima, piccola repubblica del Corno d’Africa, incastrata tra tre giganti inquieti (oltre all’Etiopia, anche Eritrea e Somalia) – corre per un tratto lungo una spiaggia, che a prima vista può addirittura ricordare le coste californiane, tra palme, attrezzi sportivi e torrette dei bagnini. Tuttavia, a uno sguardo più attento, la realtà della Siesta (spiaggia e viale) viene alla luce. Nei weekend, la spiaggia è frequentata da numerose famiglie gibutine a medio-basso reddito e da gruppi di giovani in cerca di svago, con il mare che a volte si ricopre di bagnanti. Nonostante il fatto che l’acqua sia tutt’altro che cristallina, tanto da essere interdetta a tutto il personale straniero delle basi militari, delle organizzazioni internazionali e delle compagnie private, per via dell’alto tasso d’inquinamento legato agli scarichi della città.

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Ma quando cala la notte, e i bagnanti rientrano a casa, la Siesta torna a brulicare dei suoi veri abitanti. La spiaggia e i lati del viale sono uno dei posti principali dove vivono e dormono, su piccoli giacigli di cartone, almeno un centinaio di bambini e giovani, in gran parte etiopi e in misura minore somali e gibutini, giunti in giovane età nella capitale in cerca di fortuna.

Un telefono, desiderio sufficiente
Il corridoio migratorio di Gibuti è un piccolo ramo della popolata rotta che seguono i migranti provenienti da Etiopia e Somalia per raggiungere le ricche monarchie della penisola arabica, affacciate – a poche miglia marittime di distanza – sull’altra sponda del Mar Rosso e del Golfo di Aden.

Non si tratta, come detto, di una rotta minore. Nel 2019, il Mar Rosso ha superato il Mediterraneo centrale per numero di attraversamenti, in un tratto, proprio di fronte a Gibuti, funestato da centinaia di vittime ogni anno. Alcuni di loro, invece, preferiscono fermarsi nella città di Gibuti senza tentare l’attraversamento. Si tratta soprattutto di bambini e ragazzi di origine Oromo, provenienti dalle aree centro-orientali dell’Etiopia, in particolare la zona di Dire Dawa, che raggiungono la capitale gibutina per via del passaparola. Come raccontano molti dei giovani che si accampano lungo la Siesta, infatti, in molti casi sono stati i loro coetanei a spingerli a intraprendere il viaggio verso Gibuti, raccontando delle opportunità di fare soldi e della vita facile che vi si troverebbe.

Permettersi un telefono. Oppure, in molti casi,
sono le divisioni e le tensioni dentro le famiglie
a rappresentare un incentivo alla partenza

Permettersi un telefono, d’altronde, è un desiderio più che sufficiente a spingere molti giovani ad abbandonare esistenze e territori condannati alla mera sussistenza. Così, i figli e le figlie di famiglie numerose e indigenti si lasciano tutto alle spalle senza grandi remore e intraprendono il duro cammino verso Gibuti, prima in treno e poi a piedi, attraverso i monti desertici al confine tra i due paesi. In molti casi, sono le divisioni e le tensioni all’interno delle famiglie, o le relazioni agitate con i genitori biologici o acquisiti, a rappresentare un ulteriore incentivo alla partenza. In questo modo, oltre ad allontanarsene, i ragazzi e le ragazze migranti a Gibuti finiscono per perdere i contatti con le famiglie d’origine, a volte anche per anni. I numeri del fenomeno sono molto incerti, dal momento che le istituzioni di Gibuti non si sono mai preoccupate di mappare questi piccoli invisibili, che cercano di sbarcare il lunario nelle aree più affollate della capitale. L’unica vera ricerca è stata condotta nel 2018 dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), che ha individuato 1.137 migranti minorenni a Gibuti, di cui circa la metà tra 0 e 9 anni (probabilmente giunti con la famiglia) e 504 nella fascia 10-17 anni, di cui il 12,7% ragazze.

Polizia, presenza costante
La realtà della città si rileva però ben presto lontana dalle aspettative iniziali. Senza documenti, i giovani rimangono spesso ai margini dei circuiti sociali ed economici della capitale, confinati sulla strada e a piccoli lavori di strada, come pulire le auto o le scarpe, o aiutare alcuni commercianti locali. Piccoli e furti e spaccio, quasi inevitabilmente, si aggiungono allora alle altre attività, fonte di reddito soprattutto per i maschi, mentre per molte ragazze la via quasi obbligata diventa quella della prostituzione.

La condizione di questi ragazzi di strada, senza documenti, rende loro impossibile accedere a servizi di base come l’istruzione, e in molti casi anche a cure mediche adeguate. Inoltre, la strada li lascia esposti agli abusi di persone senza scrupoli o alle violenze dei loro coetanei; inutile aggiungere che il consumo di droghe e in parte anche di alcol diventa drammaticamente diffuso.


La polizia è di conseguenza una presenza costante nella vita di questi ragazzi; arriva spesso in zone come la Siesta, per prendere in custodia molti giovani migranti e rispedirli in Etiopia, o semplicemente liberarli dopo alcuni giorni.

Naturale, dunque, che la maggior parte di questi minori sia profondamente insoddisfatta della vita che deve affrontare. Le loro prospettive sono misere e le chance di costruirsi un futuro a Gibuti sono quasi nulle, dal momento che non posseggono i documenti e l’istruzione necessari per puntare a un lavoro stabile. Ciononostante, la maggior parte dei ragazzi di strada di Gibuti non cerca di tornare alle proprie case in Etiopia, sviluppando un atteggiamento quasi di apatia nei confronti della vita.

Bayano si è messo a studiare
In quanto unica struttura e unica organizzazione che si occupa di giovani di strada nella capitale, il centro rappresenta un punto di riferimento imprescindibile, in città, su cui tanto i giovani migranti quanto le istituzioni posso fare affidamento. L’importanza del lavoro di Caritas fa anche sì che decine di volontari dalle basi militari vengano a proporsi come volontari, creando un ambiente dove anche chi imbraccia le armi per vivere viene demilitarizzato e si mette a disposizione della comunità.

Abdi, 14 anni, inserito nei progetti di ritorno in Etiopia.
Nimah, 22 anni, dopo troppe difficoltà ha ritrovato
un po’ di serenità per sé e Haibadou, la figlia di 3 anni

Le difficoltà non mancano, da quelle ordinarie, come la mancanza di acqua nel centro, fino a quelle più critiche, quali le alluvioni, che almeno una volta all’anno colpiscono la città, rendendo il Centro quasi impossibile da utilizzare. Ciononostante, l’opera di Caritas è fondamentale per assicurare un’esistenza dignitosa a tanti giovani tra gli 8 e i 18 anni, costretti ad affrontare le avversità della vita di strada in Gibuti.

È il caso di Abdi, 14 anni, inserito da Caritas nel programma di ritorno in Etiopia e per questo motivo accolto nel centro anche di notte; o di Nimah, 22 anni, che dopo troppe difficoltà ha finalmente trovato un posto dove recuperare un po’ di tranquillità e serenità, per sé e per la figlia di 3 anni, Haibadou; oppure anche di Ilyas, detto Bayano, che dopo anni trascorsi al centro ha cominciato ad aiutare lo staff in varie mansioni, e intanto studia francese e inglese a scuola, nella speranza di poter andare un giorno negli Stati Uniti.


É così che al centro Caritas si riaprono spiragli di umanità, in cui bambini e bambine sono liberi di sentirsi tali e di smettere di vivere come adulti cresciuti troppo in fretta. Quando si organizza il calcio, tutti tornano a essere piccoli elettrizzati, in cerca delle magliette da allenamento per giocare. E quando si accende la musica, tutti ballano nelle maniere più varie. Ancora più impressionante è vedere l’eccitazione che scatenano le gite a sorpresa offerte da Caritas fuori città, perfettamente uguale all’emozione di qualsiasi bambino italiano in attesa di una gita scolastica. In questi e altri momenti, la dura realtà della vita alla Siesta scompare, e lascia spazio alla gioia e alla spensieratezza che è diritto di tutti i bambini provare.

Aggiornato il 30/11/21 alle ore 15:50