02 Agosto 2022

Armonia di spazi e volti

Due mostre fotografiche raccontano i lavoratori stagionali nei territori in cui opera il Progetto Presidio: "Cratere" di Pietro Motisi e "A Chijana da Spiranza" di Carlo Bevilacqua. Al Ragusa Foto Festival e un po' anche qui

C’è anche la memoria tra gli elementi da mettere insieme per dare senso al concetto di armonia. Che è il tema principe della decima edizione del Ragusa Foto Festival, 29 allestimenti fino al 28 agosto in vari punti della città iblea. Armonia come terreno di incontro. Armonia per aprirsi al bene comune. Ma di memoria anche parlavamo. Ne sottolinea l’importanza Pietro Motisi, fotografo palermitano, che mentre svolgeva le ricerche per quella che poi è diventata la mostra “Cratere”, una delle due dedicate al Progetto Presidio, si è imbattuto in una fotografia degli anni ’50 che «rappresenta una baracca costruita da agricoltori crotonesi su un grande pezzo di terra, mi pare, comprato dalla Montedison. I dirigenti dell’azienda avevano concesso agli agricoltori del posto di costruire delle baracche in legno affinché potessero vivere e lavorare nello stesso luogo. Questo ha stimolato in me una riflessione rispetto all’importanza che può avere la nostra memoria nel rapporto con gli altri, proprio perché fino a poco tempo fa molta gente di Crotone viveva in condizioni simili a quelle che oggi sono costrette a vivere le persone che arrivano qui con tanta speranza».

Le persone di cui parla Motisi sono gli stranieri impiegati soprattutto in agricoltura, soprattutto illegalmente. Per loro è nato il Progetto Presidio di Caritas Italiana, che ha l’obiettivo di accompagnarli dal punto di vista giuridico, sanitario, lavorativo, appunto, tentando un’integrazione possibile nelle comunità dei territori in cui si trovano a lavorare. La mostra “Cratere” racconta uomini e luoghi intorno a Crotone, una delle aree del nostro Paese in cui opera il Progetto, qui affidato alla Caritas della diocesi calabrese.

Da sinistra: Gianluca Cangemi, musicista e sound designer; Pietro Motisi, fotografo

Ascolta l’intervista integrale a Pietro Motisi:

Cratere”: la verità dei luoghi

Nella mostra, l’analisi di un nuovo senso all’idea di abitare. «Il concetto – continua Motisi – risiede nella possibilità di immedesimarsi e attivare il proprio senso di responsabilità davanti a realtà così forti. L’idea alla base della mostra era quella di portare quanto più possibile la verità di quei luoghi per permettere un’immedesimazione nelle tematiche, nella quotidianità di chi vive queste realtà e cercare di porsi le stesse domande per proiettarle all’interno della propria quotidianità». Realtà restituita anche con trovate originali come la stampa di una delle baracche abitata da questi lavoratori stagionali realizzata sullo stesso materiale di cui sono costituite alcune tende della baraccopoli e la ricostruzione plastica di un cratere, come da titolo della mostra. «Il suo vuoto al centro può essere inteso come un’allegoria dell’abitare e la forma “mancata” della casa. E poi rimanda a un cratere reale su Marte che porta il nome della città di Crotone. Marte, pianeta alieno, con i suoi marziani. E l’alieno è l’altro».

Ma una mostra è composta soprattutto da foto: «Le immagini di “Cratere” rappresentano degli spazi, dei luoghi, anche se ci sono due ritratti che stabiliscono il punto iniziale e il punto finale in termini di presenza umana di questo percorso: abbiamo da un lato Ausman, una delle persone che immigrando a Crotone nove anni fa ha dormito all’interno delle baraccopoli e poi è diventato collaboratore della Caritas diocesana. Con Ausman ho avuto accessibilità immediata come fotografo grazie agli operatori Caritas, ma siamo diventati un po’ amici, complici grazie a questa ricerca. Lui costituisce il ponte con le persone che ancora stanno fuori, che hanno bisogno di aiuto. Avevo il desiderio di fargli capire che non ero solo un privilegiato arrivato lì per prendere qualcosa; io volevo partecipare in maniera umana, empatica, attiva, quindi il ritratto di Ausman per me rappresenta il momento in cui ci siamo ingaggiati reciprocamente, in cui lui in qualche maniera ha sentito che fotografandolo non lo privavo di niente, non gli “rubavo” niente. Dall’altro lato del percorso c’è Stanley, uno degli ultimi arrivati in questi luoghi, che sta iniziando a costruirsi una strada che gli permetta di stare sempre meglio e di ritrovare la sua condizione di essere umano. Il resto delle foto ritraggono spazi che vibrano delle esperienze di quelle persone: luoghi dove loro dormono, dove trascorrono il loro tempo, luoghi che in qualche maniera cercano di riproporre il loro vissuto, i pensieri, la fede – c’è infatti una moschea ricavata in una tendopoli all’ingresso di Crotone. Poi altri spazi legati a momenti di riposo con uno zainetto appeso a un filo e una sedia di plastica in una sorta di piazza ricavata in un accampamento». (Continua dopo il salto)

Ausman
Stanley
Sopra e sotto: altre due immagini dalla mostra “Cratere”

L’esperienza dei visitatori alla mostra non coinvolge solo la vista: Gianluca Cangemi, musicista e sound designer, non nasconde l’orgoglio per il contributo dato alle mostre attraverso la sua installazione sonora: «Felicissimo di avere partecipato. Quando è iniziato il lockdown, due anni fa, mi sono chiesto, come tanti altri: ci dicono di restare in casa. E per chi – come molte persone migranti – una casa non ce l’ha? La mostra mi ha dato la possibilità di elaborare anche questa riflessione e di mettere insieme tante cose: anzitutto dei frammenti di paesaggio reale che Pietro Motisi ha registrato; poi alcuni materiali catturati dal mio appartamento durante il lockdown – tra cui i richiami della protezione civile a restare in casa –, e quindi suoni del mare, onde che sciabordano su una barca, conchiglie, percussioni e i suoni di un campo profughi in Saharawi che mi ha inviato una cooperante. Tutti questi materiali nell’installazione si trasformano uno con l’altro, mescolando l’esperienza delle persone migranti e quella di un cittadino euroccidentale. La mia installazione sonora e quelle visive delle due mostre hanno una relazione organica sia sul piano del significato che formale. Possono anche avere vite separate – e infatti l’installazione sonora ha un suo titolo: “La casa è un tempo” – ma mantengono una eco di senso».

Ascolta una parte dell’installazione sonora:

“A Chijana da Spiranza”: l’aspetto umano del fenomeno migratorio

Sì, perché l’installazione sonora non ha reso immersiva solo la mostra “Cratere”, pur se preparata in prima battuta in funzione di questa, ma ha arricchito anche l’altra mostra del Ragusa Foto Festival, dedicata nello specifico al Progetto Presidio operante nella Piana di Gioia Tauro. Siamo sempre in Calabria, ma nella Diocesi di Oppido Mamertina – Palmi. È la Caritas di quella Diocesi a promuovere il Progetto sul territorio. Carlo Bevilacqua, fotografo e filmmaker, in “A Chijana da Spiranza” (La Piana della Speranza) – come “Cratere” fino al 28 agosto al Ragusa Foto Festival presso l’Auditorium San Vincenzo Ferreri – ha colto l’aspetto umano del fenomeno migratorio, restituendogli profondità e prospettiva di un futuro dignitoso. «Le cronache si occupano delle condizioni in cui versano i luoghi dove gli immigrati sono accolti, relegando le persone a una comparsata, all’invisibilità. Io ho cercato di dare loro un volto, rendendoli più vicini a noi, a tutti gli abitanti della Piana e ai visitatori della mostra. Ho provato emozioni forti – continua Bevilacqua – quando mi sono avvicinato a queste persone, mentre mi raccontavano della loro odissea, della loro partenza, della separazione dalle famiglie. Mi è allora tornata in mente l’esperienza della mia famiglia, che ha vissuto da meridionale la separazione e la lontananza dagli affetti. Ricordo i racconti di mio padre, emigrato nel primo Dopoguerra insieme a suo padre, costretto ad andare a lavorare a Genova e abitare in baracche come quelle dove a volte vivono le persone che ho incontrato». Torna la memoria ad ampliare le possibilità di comprendere l’altro. A scorgere nel volto dell’altro un po’ di noi.

Ascolta l’intervista integrale a Carlo Bevilacqua:

Bakary

E i volti che si offrono all’obiettivo di Bevilacqua sono perlopiù sorridenti. «È proprio questo il senso de “A Chijana da Spiranza”: non far vedere le persone al di fuori della loro dignità. Il sorriso dà dignità, il sorriso crea armonia, vicinanza, empatia. I sorrisi servono anche a immedesimarsi, a far capire che siamo uguali». Sorridono anche Davi e Nati, nella foto della mostra e da visitatrici in posa accanto a Bevilacqua. Che le racconta così: «Ora sono adolescenti, ma erano bambine di 9 e 11 anni quando hanno lasciato l’Africa. Sono state accolte in una casa famiglia nella Piana di Gioia Tauro. La foto mostra queste due sorelle così vicine tra loro in tutti i sensi e sembra che una delle due stia annusando il profumo dell’altra».

Carlo Bevilacqua con Davi e Nati

Con le sue foto Bevilacqua mette sempre al centro l’uomo, anche se a volte la figura umana non è fisicamente presente nell’inquadratura. Ha ritratto comunità utopiche, artistiche, religiose. Ha fotografato eremiti, islamici della Cuba post-comunista. L’uomo immerso nella sua attualità più stringente, come qualche mese fa i profughi ucraini raggiunti al confine con la Polonia. Sempre con il desiderio – che ritroviamo con forza in “A Chijana da Spiranza” –  «di far crescere la consapevolezza sullo stato delle cose e sulla necessità di fare qualcosa per gli altri. Le mostre mia e di Pietro parlano della possibilità di risoluzione di alcuni problemi». E arrivano a tutti. Ce lo conferma Cristiano Cangemi, l’artefice dell’installazione sonora: «Due persone anziane di Ragusa erano sedute fuori dai locali che ospitano le mostre. Hanno sentito un picco del suono. Uno dei due ha chiesto all’altro:  Cosa succede nella chiesa di San Vincenzo (sconsacrata, oggi Auditorium, n.d.r.)? La risposta: Hanno messo le fotografie dei neri. Quali neri? Quelli che vengono dal mare per lavorare e vivere da noi. E cosa ci fanno con questi neri? Il primo, che aveva visitato le mostre: gli fanno la Messa di Resurrezione». Appunto. La memoria e l’armonia. (Fine)

Ha collaborato: Caterina Boca

Sopra e sotto: altre tre immagini dalla mostra “A Chijana da Spiranza”
Aggiornato il 03/08/22 alle ore 11:21