26 Maggio 2022

Accoglienza, seme di fraternità

In tempo di pandemia e di guerra, nelle comunità fioriscono ogni giorno relazioni

C’è una cifra sintetica che può riassumere l’esperienza nata dalla pandemia e subito dopo dalla guerra in Ucraina? Mi sembra che stia tutta in una parola: accoglienza. Accoglienza significa dare importanza alla relazione e, prima ancora, alla persona. E quanto siano importanti e preziose le relazioni lo abbiamo scoperto ancora di più nei periodi di chiusure e distanziamento. Significa apertura ricettiva all’altro, disposti ad accoglierlo così come è, ad accompagnarlo, a sostenerlo, ma anche a ricevere da lui i suoi doni oltre che condividere le sue fatiche, i suoi problemi, i suoi sogni. L’accoglienza diventa allora reciproca.

Non è difficile accompagnare le persone, ma è di sicuro impegnativo far sì che sia un vero incontro, un camminare insieme, in cui ciascuno porta la propria specificità che fa crescere concretamente la fraternità.

Come ad esempio il progetto APrI, lanciato da Caritas due anni fa e riproposto ora per l’emergenza Ucraina. Un acronimo che richiama i quattro verbi che il Papa ripete spesso parlando di migranti: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Non ci si concentra sulla vita passata dei migranti accolti ma sulle loro potenzialità e su quanto possono offrire alla comunità in cui vivono. Il percorso assume così i contorni dei gesti quotidiani e si sperimenta nel concreto che parole come “casa loro” e “casa nostra” vanno al di là dei luoghi geografici.