22 Dicembre 2021

Oltre i confini, senza temere

Nel Vangelo che narra l’incarnazione e la nascita di Gesù, i protagonisti varcano diverse barriere. Grazie a un’esortazione, che risuona anche per noi

C’è un filo rosso che corre attraverso le pagine evangeliche che narrano l’evento dell’incarnazione e della nascita di Gesù: confini si aprono e vengono oltrepassati. Ciascuno dei protagonisti si trova a oltrepassare uno o più confini, allargando i propri o entrando in spazi nuovi.

Il primo confine è quello dell’impossibile. «Come potrà essere questo? Poiché non conosco uomo» (Luca 1,34). È una ragazza, Maria, che per prima lo varca: non con l’accettazione passiva e la modestia dell’ancella, ma con il coraggio, le domande e l’ardire della donna che si interroga, riflette, e parla faccia a faccia con il messaggero di Dio.

Il secondo confine è quello delle proprie aspettative e dei propri progetti: lo varcano, insieme, due giovani, Maria e Giuseppe. Ed è lui che prende lo slancio: mosso dal desiderio di salvare la donna amata da una pubblica accusa (Matteo 1,19), si fida di un sogno e «accolse la sua donna» (Matteo 1,24). Per accogliere il mistero di Maria, Giuseppe supera il suo progetto di famiglia, la sua aspettativa su Maria; i suoi confini si spalancano e Maria, con il bambino che porta, vi entra, accolta.

Fuori luogo, cioè un segno
C’è poi il confine del luogo opportuno, quello dove è bene stare: il luogo adatto alle circostanze. Nella descrizione della nascita di Gesù, ogni luogo e circostanza sembrano inadeguati: da Betlemme, la piccola tra le città di Giuda (Michea 5,1), fino alla mangiatoia dove finisce il bambino (Luca 2,7), perché «non c’era posto per loro nell’alloggio» (Luca 2,4).

Il testo non specifica il motivo del fatto che non trovassero posto; di certo la coppia in viaggio, giunta a Betlemme, non era corrispondente alle convenzioni né ai dettami religiosi del tempo. Giuseppe era in viaggio con Maria, «sua fidanzata, che era incinta» (Luca 2,5). L’informazione è talmente sconcertante che alcuni manoscritti correggono il testo, apostrofando Maria come «sua moglie»; non sarebbe stato possibile per una fidanzata, infatti, viaggiare assieme al promesso sposo.

Giorgione, Natività Allendale (1500-1505)


In ogni caso, una fidanzata incinta in viaggio col promesso sposo, e un figlio che sta per nascere: il confine delle opportunità è scavalcato, ciascuno in questa scena appare fuori luogo. Ma proprio questo essere fuori luogo, paradossalmente, diventa un segno. Così l’angelo si rivolge ai pastori: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia» (Luca 2,12). I pastori, a loro volta, sono categoria emarginata, in virtù del disprezzo legato al loro mestiere; eppure sono in grado di aprire gli occhi e il cuore, per cogliere traccia della presenza di Dio in chi è fuori luogo. Così, «andarono, senza indugio» (Luca 2,16) verso Betlemme.

Ricevere la vita, nella forma in attesa
Tra i confini valicati, ci sono poi quelli di nazioni, lingue e culture diverse: sono i confini attraversati dagli astronomi venuti dall’oriente. Si presentano a Gerusalemme, alla corte del re Erode, il luogo giusto dove trovare un re appena nato, da adorare (Matteo 2,1-2). Da qui, vengono reindirizzati a Betlemme, guidati dalla stella in una casa qualunque (Matteo 2,8), entrati nella quale «videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Matteo 2,11).

Adorando il re, che riconoscono nel volto di un bambino, i Magi superano il confine della scienza, e quello di ciò che si conosce delle usanze regali. Non importa se questo bambino non abita la capitale o il palazzo: si prostrano in un paese e in una casa qualunque.

«Non temere». È l’invito da accogliere, anche per noi.
Per oltrepassare confini imposti, o allargare i propri. E
ricevere la vita nella forma inattesa in cui si fa presente

C’è, da ultimo, il confine della terra promessa da varcare, in una precipitosa fuga verso l’Egitto per salvare il bambino. Non si tratta questa volta solo di entrare da stranieri in un altro paese. L’Egitto è il luogo della schiavitù, da cui Israele è stato liberato; Deuteronomio 17,16 aveva sancito la proibizione del Signore di tornare in Egitto: «Non tornerete più indietro per quella via». Andare in Egitto significa superare il confine della legge, credendo che l’Egitto invece che luogo di schiavitù possa essere luogo di vita. Tanti, diversi passaggi di confine. Accomunati però da un’attitudine unica, espressa dall’esortazione ribadita ai protagonisti del testo evangelico a ogni passaggio: «Non temere». È l’invito da accogliere, anche per noi. Per oltrepassare confini imposti, o allargare i propri. E ricevere la vita nella forma inattesa in cui si fa presente.

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