25 Gennaio 2022

Disarmati dentro. Serve un’Europa di pace

Venti di guerra tra Ucraina e Russia. Ma vecchie risposte non colgono le sfide del presente. Il Papa: 26 gennaio, giorno di preghiera

Seguo con preoccupazione l’aumento delle tensioni che minacciano di infliggere un nuovo colpo alla pace in Ucraina e mettono in discussione la sicurezza nel continente europeo, con ripercussioni ancora più vaste. Faccio un accorato appello a tutte le persone di buona volontà, perché elevino preghiere a Dio onnipotente, affinché ogni azione e iniziativa politica sia al servizio della fratellanza umana, più che di interessi di parte. Chi persegue i propri scopi a danno degli altri, disprezza la propria vocazione di uomo, perché tutti siamo stati creati fratelli.
Per questo e con preoccupazione, viste le tensioni attuali, propongo che
mercoledì prossimo 26 gennaio sia una giornata di preghiera per la pace.
Papa Francesco (Angelus di domenica 23 gennaio 2022)


Alle porte dell’Europa soffiano forti i venti di guerra, mentre sembra già lontana l’eco del mese della pace e del messaggio di Francesco del 1° gennaio. Erano molti decenni che l’ombra di un possibile conflitto armato non arrivava così vicina al cuore del vecchio continente, e quanto sta avvenendo in questi giorni al confine tra Russia e Ucraina non sembra scuotere le nostre coscienze come dovrebbe.

Le analisi e le voci preoccupate dei leader parlano di un possibile conflitto: esso si potrebbe accendere se la Russia sconfinasse in Ucraina, giustificando tale iniziativa come reazione a una minacciosa e crescente presenza degli Stati Uniti nel paese, che ha già chiesto di diventare membro della Nato. È una situazione senza dubbio grave. Ma oltre al concreto pericolo di un conflitto armato, dovrebbe preoccuparci anche il modo in cui una situazione di questo genere ci trascini quasi ineluttabilmente in un vortice polemico, in cui non riusciamo a non fare il tifo per quelli che percepiamo come “i buoni” (in questo caso gli abitanti dell’Ucraina, che tutte le analisi dicono essere a rischio di invasione da est).

Un sano realismo
Esiste un altro modo per guardare alla questione? Alcuni fatti sono difficilmente contestabili, in primo luogo l’esperienza passata. La Russia di Putin, in diversi casi negli ultimi decenni, non sembra essersi fatta troppi scrupoli prima di mettere mano alle armi e mettere piede in quello che veniva valutato uno “spazio di influenza” necessario, perché abitato da minoranze russofone: è stato il caso della Georgia nel 2008 e delle regioni della Crimea e del Donbass nel 2014 (proprio a spese dell’Ucraina). Così come non può essere ignorata l’aspirazione del popolo ucraino a stringere legami più forti con l’Europa occidentale, a partire da due elementi: una forte identità nazionale, percepita come nettamente distinta da quella russa (o da quella “panslava”, in cui è ancora la Russia a giocare un ruolo egemone); il timore per una guerra di invasione che metterebbe tra l’altro a durissima prova la fragile democrazia ucraina (ma quale democrazia potrebbe definirsi solida, nei tempi in cui viviamo?).

Quale sia la possibilità per la Russia di sostenere l’allontanamento definitivo dell’Ucraina dalla propria sfera di influenza, è d’altro canto tema complesso, che richiederebbe un più ampio spazio di trattazione. La questione da sottolineare è però un’altra: quali dovrebbero essere le scelte del nostro paese e dell’Europa, non solo nell’ipotesi di evitare una vera e propria guerra nelle settimane che verranno, ma anche per costruire uno spazio di pace e di convivenza rispettosa tra i popoli a medio e a lungo termine?

Quali dovrebbero essere le nostre scelte, per
costruire uno spazio di convivenza rispettosa
e di pace tra i popoli a medio e a lungo termine?

Chi si oppone all’escalation delle armi viene spesso tacciato di utopismo e “buonismo”, come se il realismo debba essere comunque almeno un po’ cinico, e debba prevedere la possibilità quasi inevitabile del confronto armato. Ma l’esperienza passata dice con chiarezza che la cautela e la mediazione non sono guidate dall’arrendevolezza, ma dalla consapevolezza degli enormi rischi che si corrono. Nel degenerare delle tensioni in un conflitto violento non ci sono mai vincitori; soltanto, si creano fossati, tra popoli e comunità, che negli anni sarà sempre più difficile riempire. Un realismo “sano” – ha ricordato Papa Francesco in un’omelia del 2014 – permette invece di cercare sempre un accordo e una soluzione, di consolidare la pace anche se sarà provvisoria. Questo “è realismo”: si tratta di trovare un accordo mentre siamo in cammino, proprio per fermare la lotta e l’odio.

Orizzonte di stabilità
In questa prospettiva, non mancherebbero le strade per assicurare al popolo ucraino un futuro di pace e di democrazia, in cui nessun popolo si senta minacciato. La storia dell’Austria durante la Guerra fredda è un esempio di “neutralità controllata”: una situazione che non ha certo impedito al popolo austriaco di scegliere la propria strada, pur in un contesto di polarizzazione e confronto sempre sul punto di trasformarsi in conflitto aperto tra il blocco occidentale e quello sovietico. Nessuna soluzione del passato può risolvere un problema del presente, ma è importante riconoscere che anche in situazioni in cui il conflitto sembra inevitabile è possibile adottare soluzioni che lo trasformino in qualcosa di diverso.

Come giudicare dunque i crescenti trasferimenti di armi verso l’Ucraina e il dispiegamento di forze Nato nel quadrante orientale? Costruiamo in questo modo un futuro di pace? L’Europa, con tutte le sue criticità, rappresenta senza dubbio l’orizzonte di stabilità per le nostre società, ed è urgente e necessario che impari a costruire un ruolo regionale e globale nel segno del diritto delle persone, dei popoli, della pace. Per ora purtroppo l’iniziativa più significativa a livello continentale in proiezione esterna è quella relativa alla militarizzazione delle frontiere, affidata a un’agenzia – Frontex – su cui si sono alzate più volte voci critiche, dal momento che la difesa della “fortezza Europa” non può venir fatta con scarsissima osservanza dei principi di rispetto della persona umana, su cui la stessa Europa è fondata.

La difesa della “fortezza Europa” non può venir fatta
con scarsissima osservanza dei principi di rispetto
della persona umana, su cui la stessa Europa è fondata

Sintomo del problema
Gli appassionati del “realismo geopolitico” e della centralità dello stato nazionale guardano con scetticismo alla possibilità di un ruolo politico di pace per l’Europa ai propri confini e sul piano globale. Ma di fronte alla complessità delle sfide che il mondo si trova ad affrontare è difficile pensare che possano essere i singoli stati nazionali a indicare lo spazio di una mediazione, in una prospettiva che ci richiama schemi e ragionamenti che già nel secolo scorso in molti casi non riuscivano ad andare oltre l’illusione di una risposta “chiara e netta”, ma forse non troppo pertinente.

L’escalation militarista cui assistiamo in questi giorni è un sintomo del problema, non un inizio di soluzione. Così come quella dell’estensione di un’alleanza militare sembra rispondere in modo immediato a una legittima esigenza di sicurezza; ma rischia di piantare ancora più in profondità un seme di instabilità.

Speriamo che non si creino le condizioni per una guerra nelle foreste dell’Europa orientale. Il problema, però, è essere “disarmati dentro”. E partire da lì per costruire un vero orizzonte di pace e di fraternità.