15 Giugno 2022

Kamel, cristiano al tempo dell’Isis

L'Isis aveva dipinto sulla casa di Kamel a Mosul, la lettera araba "nun": l'iniziale di "nasrani", vale a dire "cristiani" per indicare, agli altri terroristi, i destinatari principali delle loro violenze. Ma di quel marchio Kamel ne ha fatto un vanto e si è ricostruito, insieme alla sua famiglia, una nuova vita in Giordania.

Era il giugno del 2014 quando la nun rosso sangue apparve dipinta sulla porta della casa di Kamel.

Ha la forma di un semicerchio sovrastata da un puntino, la lettera araba nun; sembra quasi una luna che si staglia non riflessa sulla superficie stilizzata di un lago, una lettera che in italiano ha il suono nasale della nostra n. Nel giro di pochissimi giorni questo segno innocente, incolpevole come può esserlo un qualsiasi grafema dell’alfabeto, assunse il peso simbolico di una lettera scarlatta.

Fu a partire dal 9 giugno, quando gli uomini neri dell’Isis presero il comando di Mosul, l’antica Ninive, che centinaia di nun (a sinistra nell’immagine) iniziarono a fiorire come papaveri vermigli su stipiti, architravi, muri delle abitazioni, negozi, proprietà di molti amici di Kamel.

Come se il fare parte della sua cerchia degli affetti, fosse la ragione di quello strano marchio distintivo. Ma in realtà Kamel c’entrava poco nell’apparizione sequenziale dei simboli, simboli che erano piuttosto connessi al loro significato: la nun era la lettera iniziale della versione coranica della parola “cristiano”, nasrani. Nazareno. Così infatti i terroristi dell’Isis contrassegnavano a Mosul la presenza di uomini e donne di fede cristiana, eleggendoli a destinatari primari delle loro violenze.

Una famiglia di profughi proveniente da Mosul

Molti tra i cristiani dell’allora Ninive, fuggirono in quelle settimane lasciando la città svuotata della presenza cristiana dopo quasi duemila anni. Fuggì anche Kamel, padre giovane di due bambini appena nati, insieme alla sua sposa Nour incinta per la terza volta. E insieme varcarono le soglie della Giordania, dove centinaia di migliaia di profughi fra iracheni, siriani, ma anche yemeniti, sudanesi, etiopi, avevano trovato rifugio nel regno hashemita. Circa 760mila sono oggi i profughi registrati presso l’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma secondo dati governativi altri 600mila vivono nel Paese in modo informale.

L’incipit di Anna Karenina recita “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. Eppure le storie di infelicità di chi fugge dalla guerra sono tutte incredibilmente simili, compresa quella di Kamel lontana dall’essere l’eccezione che conferma la regola.

Le settimane correvano veloci e ancora di più i risparmi di una vita che presto lasciarono Kamel e la sua famiglia senza cibo e riparo nella grande Amman, mentre il ventre di Nour cresceva giorno dopo giorno.Il passaparola delle buone notizie della comunità dei profughi iracheni ad Amman arrivò anche alle orecchie di Kamel, che venne così a conoscenza del progetto di Caritas Jordan: un progetto capace di curare la salute e l’anima di chi fugge; in grado di offrire sia assistenza pre e neo natale alle giovani future mamme provenienti da contesti di guerra, sia di formare e inserire nel mercato del lavoro i tanti padri famiglia disoccupati. Nour venne accolta nella clinica di Caritas Jordan, seguita passo passo dai medici e volontari. Pochi giorni dopo dal suo arrivo diede alla luce il piccolo Yuhanna, il cui nome significa Giovanni, come il Profeta. Kamel venne invece inserito in un corso di formazione professionale, per diventare falegname. Lui con il lavoro manuale ci sapeva fare, visto che nei tempi felici prima dello Stato Islamico lavorava come muratore. Imparò facilmente l’arte del legno per poi lavorare nella bottega Caritas del Mercy Garden, il Giardino della Grazia, dove attualmente gestisce un laboratorio di upcycling: lì Kamel si occupa di riuso creativo, recuperando oggetti di scarto per trasformarli in mobili, elementi di arredamento e design.

Diversi anni sono ormai passati da quando Kamel e la sua famiglia arrivarono in Giordania. Ancora vivono ad Amman rispettati dai loro vicini e ben integrati nella comunità locale.

Pochi mesi fa Kamel ha scelto di farsi tatuare sulla mano sinistra la nun dei nasrani, dei cristiani. Perché il marchio della vergona non lo sarà mai per chi lo subisce, bensì per coloro che lo impongono.

Chiara Bottazzi

Aggiornato il 15/06/22 alle ore 12:06