11 Marzo 2022

Samar tra lacrime e coperte

In Turchia 5 milioni di stranieri, quasi 4 rifugiati siriani. A Gaziantep i profughi di Aleppo: presente stentato, futuro incerto. L’azione Caritas


I disordini politici, le guerre civili e gli interessi economici e geopolitici che da anni, se non da decenni, striano il Medio Oriente sono alla radice di continui e ingenti movimenti di popolazioni. Una delle principali direttrici di movimento dei profughi dell’area punta verso la Turchia, che ospita rifugiati nell’intero territorio del paese; si può però affermare che Istanbul e le province di Hatay, Gaziantep e Salniurfa siano le più interessate al fenomeno e presentino la più alta concentrazione di migranti.

Come è noto, i migranti mediorientali sono costretti a rimanere in Turchia a seguito dell’accordo firmato tra Ue e Turchia nel 2016, poi rinnovato nel 2021. Ankara si impegna a gestire il flusso di rifugiati, ospitandoli nel suo territorio, attraverso il forte sostegno finanziario di Bruxelles. Il viaggio di milioni di persone in Europa si interrompe quindi proprio in Turchia, all’inizio della cosiddetta “rotta balcanica”. Secondo gli ultimi dati disponibili dell’ente turco che sovrintende alla questione, ovvero la Direzione generale della gestione della Migrazione (Dgmm), ci sono attualmente più di 5 milioni di cittadini stranieri presenti nel territorio turco, e 3,7 milioni chiedono protezione internazionale.

I migranti mediorientali sono costretti a rimanere
a seguito dell’accordo Ue-Turchia del 2016, rinnovato
nel 2021. Ankara gestisce i flussi, Bruxelles finanzia


Il gruppo più numeroso tra questi stranieri (3.736.760 individui) è costituito dai siriani; a essi è concesso lo status di protezione temporanea. La situazione umanitaria in Siria, dove dal 2011 si combatte una guerra che vede contrapporsi forze filo e antigovernative, rimane disastrosa: 400 mila morti, 6 milioni di profughi costretti ad abbandonare il paese, di cui più di 3 milioni hanno cercato riparo nella confinante Turchia.

Manodopera sottopagata
I legami socioeconomici tra Gaziantep e Aleppo sono storicamente forti; a causa della vicinanza le due città, le loro culture si sono mescolate a lungo. Le somiglianze culturali derivano anche dal fatto che, molto prima che Turchia e Siria diventassero stati separati, nell’impero ottomano Gaziantep e Aleppo sono appartenute per secoli alla stessa regione.

Il commercio non è l’unico settore della città che ha beneficiato dell’afflusso dei profughi siriani. I migranti hanno anche soddisfatto la domanda di manodopera poco qualificata in città, rendendosi disponibili per lavori (per esempio il netturbino) che nella comunità locale pochi vogliono ormai fare.

Grazie alla politica turca delle porte aperte, e ai suoi sforzi per accogliere i rifugiati nelle città, invece che distribuirli nelle campagne, la maggior parte dei siriani giunti a Gaziantep è riuscita a trovare lavoro soprattutto nei settori alimentare e tessile. Alcuni hanno aperto proprie attività e vendono nei bazar locali. Altri hanno avviato piccole imprese.

Tuttavia, la partecipazione dei siriani al mercato del lavoro turco è spesso fonte di problemi: disparità salariali, non ottenimento di contratti di lavoro ufficiali, costrizione a lavorare con orari lunghi e insostenibili.

Con la diffusione della pandemia di Covid-19, anche le condizioni di vita dei rifugiati siriani sono notevolmente peggiorate. Le vulnerabilità e i bisogni primari sono aumentati. L’aumento dei prezzi alimentari interni, i redditi più bassi e l’aumento della disoccupazione hanno avuto un impatto significativo sulla sicurezza alimentare generale. Inoltre, i sentimenti anti-migranti sono in aumento in Turchia; un gran numero di cittadini turchi credono che i siriani stiano prendendo il loro lavoro e mettendo a dura prova servizi essenziali, come l’assistenza sanitaria o l’alloggio.


Le discriminazioni sul mercato del lavoro sono un ulteriore ostacolo che i rifugiati siriani devono affrontare. E poi ci sono una serie di barriere sociali e culturali, a cominciare dalle differenze linguistiche, che si rivelano particolarmente difficili da superare soprattutto per i migranti più anziani, costretti in una condizione di emarginazione e discriminazione. Non mancano, addirittura, segnali di ostilità o violenza: con l’economia turca in difficoltà e la valuta in calo, alcuni ambienti turchi iniziano a incolpare i siriani.

Non si sono arresi
Samar (nome di fantasia) è una tra i 500 mila profughi siriani residenti nella zona di Gaziantep. Abita in quella che si può considerare, per gli standard locali, una bella casa. Però entrando nel palazzo, accompagnati dal marito Walid, segnato da una zoppia dovuta alla gamba destra che non sorregge il peso del corpo, le cose cambiano. Le scale per arrivare all’alloggio della famiglia non salgono, ma scendono. Sino allo scantinato dell’edificio, dove una piccola porta bianca si spalanca su un piccolo alloggio di 30 metri quadrati, nel quale la giovane coppia vive insieme a due bambini.

Samar e Walid hanno 30 anni, si sono sposati poco più che ventenni ad Aleppo. Il matrimonio custodiva il progetto di lavorare insieme nella grande città siriana, nell’officina meccanica di famiglia. Della festa di matrimonio rimangono tre foto, salvate nello smartphone usato dai coniugi in comune. Lei con boccoli biondi e lunghissimi in ambito bianco, lui in completo gessato e un sorriso che spacca il mondo. Ora Samar è vestita tutta di nero, i capelli raccolti dal velo, gli occhi lucidi; Walid ha lo sguardo vuoto, la bocca serrata, scrocchia le mani nervosamente.

La loro odissea è cominciata nell’agosto 2013, quando il giovane sposo ha abbandonato la città dopo l’ennesima retata in cui gli uomini venivano arrestati e obbligati a combattere. Arrivato per primo a Gaziantep, dopo qualche mese è stato raggiunto dalla moglie e dal primo figlio, appena nato; in Turchia, hanno vissuto per un anno in una casa comune, tante famiglie di profughi ognuna in una stanza, bagno e cucina in comune. Samar, nel viaggio verso la Turchia, aveva portato con sé le cose più preziose dalla Siria, ma al confine le è stato rubato tutto, anche la fede nuziale.

Samar e Walid si sono sposati poco più che ventenni.
Sognavanodi lavorare insieme nell’officina meccanica
di famiglia. Della festa di matrimonio restano tre foto

Nonostante il fallimento dei sogni originari, Walid e Samar non si sono arresi. L’uomo ha fatto tantissimi lavori: trasportato sacchi di farina, raccolto patate, pulito strade… Non proprio i lavori dei suoi sogni, ma abbastanza per mantenere moglie e figlio, e dal 2017 anche la figlia secondogenita. Purtroppo, però, nello stesso anno Walid ha avuto un incidente sul lavoro e ha perso due dita.

Samar ha deciso allora di andare a lavorare come cuoca e donna delle pulizie nel quartiere. Non veniva pagata abbastanza, ma poteva garantire l’asilo al piccolo Omar, lasciando a casa la neonata insieme al padre. Qualche anno più tardi Walid si è però ammalato allo stomaco e ha subìto un’operazione; da quel momento, la famiglia non è più riuscita a pagare le bollette e l’affitto ed è stata obbligata a cercare rifugio in un centro comunale. In seguito, dopo la guarigione di Walid, hanno dovuto inventarsi nuove sistemazioni e nuovi modi per vivere; Walid, infatti, ancora oggi non può trasportare pesi o fare lavori che comportano fatica fisica.

Uno spazio di motivazione
Avendo conosciuto Caritas in Siria, pur essendo musulmani, e ricordandosi dei pacchi alimentari che qualche vicino di casa aveva ricevuto nei periodi più faticosi, una mattina la coppia ha chiamato il centro di ascolto di Caritas Anatolia. Omar aveva iniziato la prima elementare, la famiglia si ritrovava a dover scegliere se pagare il bus e il materiale scolastico oppure mangiare. Intanto Walid ogni giorno scendeva nella piazza principale in cerca di un lavoretto, qualcosa che possa dare qualche soldo per la cena.

Il laboratorio per le donne siriane organizzato da Caritas Anatolia a Gaziantep

Samar spesso si vergogna e piange per la vergogna. «Vorremmo prenderci cura dei nostri figli, ma non possiamo», ripete ossessivamente. Però non demorde. Da dicembre Caritas Anatolia ha costruito un progetto per 15 donne che, come lei, desiderano mettersi in gioco per la propria famiglia. Grazie al supporto di Caritas Taiwan, è stato creato uno spazio dove le donne siriane si incontrano e si scambiano informazioni e suggerimenti sulle tecniche di artigianato tessile tradizionale. Ogni mese Caritas si impegna a pagare il materiale e a erogare piccoli contributi a ogni donna.

Così oggi Samar vende le sue coperte multicolori al mercato e riesce a pagare i libri di scuola di Omar. Può lavorare da casa, una volta a settimana si incontra con le altre donne siriane, in uno spazio di dialogo e condivisione che diventa anche uno spazio di motivazione. Il futuro, visto da Gaziantep, continua a essere avvolto in una nube di incertezza. E i sogni dei giorni di Aleppo sembrano tanto lontani. Ma una strada si è aperta. La speranza è che porti a panorami migliori.

Aggiornato il 11/03/22 alle ore 16:54