20 Gennaio 2022

Shwarab, è l’ultima cena?

Bangladesh, India, Sri Lanka: i danni del Covid, socio-economici e psichiatrici, non soltanto sanitari, minacciano di rivelarsi di lunga durata


La solita brulicante distesa di folla senza forma si muove come un formicaio preordinato ma ugualmente entropico e si sposta dalla stazione di Dhaka, la capitale, verso il cuore della città, per raggiungere il posto di lavoro, la scuola, un ospedale per delle cure. O il niente.

Shwarab percorre queste vie, saltando da un treno dismesso all’altro, rincorso da altri mendicanti alla caccia di un pugno di riso, o rincorrendo egli stesso passeggeri sprovveduti da alleggerire di qualche spicciolo. Sempre la stessa storia, da almeno 15 anni. Esattamente dal giorno in cui un presunto amico del villaggio lo ha portato in capitale, promettendo un lavoro e rubando i risparmi della sua famiglia. La quale, per procurare un lavoro in città al giovane figlio, aveva venduto le due vacche e il piccolissimo campo a Rajsahi.

Da 15 anni Shwarab sa di essere al fondo del barile. Ha fatto cose, ha visto tragedie, ha scoperto solidarietà e notti buie che mai avrebbe immaginato. Ma gli ultimi due anni stanno facendo capire a lui, come agli altri poveri della nazione, che il fondo del barile si sposta sempre più giù: sono diminuiti i movimenti dei passeggeri, aumentati i mendicanti, accresciuti i conflitti per le pochissime risorse di strada, quasi azzerate le possibilità di accesso a servizi assistenziali e sanitari, peggiorata la qualità anche degli scarti alimentari.

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Il Bangladesh, come tutta l’Asia meridionale, è stato investito violentemente dalla pandemia. I morti e gli invalidi a causa del Covid-19 sono molti, ma di più sono le persone impoverite da una crisi economica, alimentare e sociale senza precedenti.

Il tasso di povertà nel paese, in un solo anno, è salito dal 20,5% al 29,5%: i 9 punti percentuali in più corrispondono a decine di milioni di persone che hanno perso il lavoro, che non riescono a mantenere sé stesse e le famiglie, che entrano nel circuito della marginalità estrema.

La vicina e potente India non registra situazioni molto più incoraggianti: da aprile a giugno del 2020 il gigante asiatico ha visto una contrazione del proprio Prodotto interno lordo del 24,4%, con un tasso di disoccupazione allarmante e una ripresa, successiva al primo lockdown, al di sotto delle previsioni.

Ma i numeri, seppur già preoccupanti, chiedono di essere analizzati più in profondità, per comprendere la vastità delle diseguaglianze da cui l’India, come una buona parte dell’Asia, è contraddistinta.

Stime attendibili indicano che nel 2020 l’1% della popolazione indiana possedeva e godeva del 42,5% della ricchezza totale del paese, mentre il 50% della popolazione solo del 2,5%.


Forte contrazione, molti più poveri
La crisi economica, e quindi sociale, del continente asiatico è anche una crisi finanziaria, concretizzatasi nella svalutazione grave delle monete locali, nell’aumento dell’inflazione e nella crescita del debito estero. Ancora una volta l’India, ma anche il vicino e piccolo Sri Lanka, osservano le proprie valute crollare in termini di valore sul dollaro e sull’euro, mentre cresce il debito che, nel caso particolare dello Sri Lanka, é già da anni molto alto e pone questioni politicamente complesse.

Anche nell’isola ex Ceylon crescono a dismisura i nuovi poveri, la disoccupazione e il paese si trova, de facto e nonostante le rassicurazioni compulsive del governo, sull’orlo della bancarotta.

Allo stesso modo, la maggior parte degli altri stati asiatici sperimenta una forte contrazione economica, la mancata ripresa post-pandemica tanto annunciata, l’aumento della marginalità sociale e dell’insicurezza alimentare: d’altronde secondo la Fao, nel 2020 nel mondo 54 milioni di persone in più, rispetto ai 321 del 2019, hanno sofferto la fame e circa 1,8 miliardi di persone non hanno potuto nutrirsi con una dieta adeguata, qualitativamente e quantitativamente.

Cerimonia religiosa in India: anche qui la pandemia ha messo a dura prova la psiche collettiva

Segni chiari di disagio
La complessità della situazione pandemica e l’interdipendenza dei sistemi che garantiscono stabilità o anche solo galleggiamento alle società, inclusa quella asiatica – seppure non si possa parlare di “una” società asiatica –, rendono evidenti le ricadute sociali, individuali e collettive causate dalle sfide prima sanitarie e poi economiche.

Il benessere mentale e psicologico di tutti gli abitanti del pianeta, ad esempio, è stato messo a dura prova e segni chiarissimi di disagio si evidenziano trasversalmente in quasi tutte le società, sia tra i giovani sia tra gli adulti. L’Asia non fa eccezione: numerosi studi sottolineano il pesante impatto della pandemia non solo sulla salute mentale degli individui, ma anche sulle devianze sociali e sui sistemi di cura, prevenzione e contenimento.

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Shwarab, con una tosse cavernosa che sconquassa il suo incedere, vaga per strade sporche e malsane intorno alla stazione di Dhaka.

Anche oggi il solito ristorantino che da anni gli forniva la cena fatta di avanzi dei clienti è chiuso: il proprietario dice che non riesce a tirare avanti, le persone non spendono nemmeno i 10 thaka di uno snack, lui non riesce a inviare i soldi alla famiglia a Khulna e trova più redditizio vendere la yaba, una droga a basso costo fatta di metanfetamina e caffeina.

Con i pochi thaka recuperati da qualche generoso viaggiatore, Shwarab anche questa sera cenerà con una pastiglia rosa di yaba.

Sperando che non sia l’ultima cena.

Aggiornato il 20/01/22 alle ore 18:26