05 Aprile 2022

Vijitha ha bisogno di aria fresca

Lo Sri Lanka affonda nella crisi: economica, sociale, energetica. Inasprita dal Covid. Le premesse c’erano già, nella cattiva politica che asfissia il paese


Anusha è in fila, per il gas, oggi. Ieri era in fila per il latte in polvere.

Anche Sugath, il marito di Anusha, è in fila. Oggi per il carburante. E ieri anche. Da tre giorni aspetta che arrivi il diesel. Ma non arriva. Ha provato con una tanica di benzina verde, almeno per poter far andare lo scooter, ma anche per quella sono ore di attesa.

Solo una settimana fa il vecchio Premasiri, magro e canuto, è morto in fila proprio per il gas. C’era caldo e il suo fisico stanco non ha retto alla disidratazione, così facile con il sole di questo periodo. In banca, invece, non ci sono code: da settimane è vietato portare fuori dal paese moneta straniera. Da anni ormai, precisamente dall’emergenza Covid, il governo tenta di far entrare quanta più valuta possibile, evidentemente senza successo.

Cresce la lista dei materiali difficili da reperire:
dalle medicine al cibo, dal cemento ad altri beni.
Un ospedale, senza medicine, ha sospeso le operazioni

Ormai sta diventando uno scenario quotidiano e ingravescente. Cresce ogni giorno la lista dei materiali difficili da reperire: dalle medicine al cibo, dal cemento a diversi altri beni di uso comune. Qualche giorno fa un ospedale ha interrotto le operazioni di routine per mancanza di medicinali. E gli esami scolastici vengono rimandati per la carenza di fogli di carta – semplicissimi A4 – su cui stampare le domande.

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Lo Sri Lanka vive la crisi economica peggiore di tutta la sua storia. Il Covid, e la conseguente chiusura di fatto del paese per quasi due anni, il crollo delle entrate del turismo e la contrazione delle rimesse degli emigrati hanno dato il colpo di grazia a quello che era un sistema già in sofferenza.

Una lettura superficiale potrebbe assegnare ai due fattori sopra citati, unitamente all’inflazione rampante, la causa esclusiva del disastro socio-economico in cui versa attualmente l’isola asiatica. La realtà, però, è ben più complessa e la pandemia ha solo accelerato e aggravato uno scenario delicatissimo.

Una delle concause più pesanti e strutturali è di certo l’inettitudine politica, unita a una corruzione sistemica rampante. Da anni ormai le cariche istituzionali hanno assunto una connotazione sempre più clientelare: le competenze tecniche sono divenute via via meno importanti del sistema di asservimento al potere e di rafforzamento dei meccanismi di dominio. Ciò ha portato almeno da 15 anni a politiche economiche inefficaci se non dannose, a un’immagine esteriore del paese diversa dalla realtà e all’arricchimento di pochi a scapito della maggioranza della popolazione.

E a nulla sono serviti i campanelli di allarme. Al contrario, il governo ha stampato denaro per rispondere alla crisi prevista facendo crescere ancora di più l’inflazione, in questo facendo crollare, come mai si era visto prima, il valore della moneta locale.

In piena pandemia il governo ha messo al bando
i fertilizzanti chimici, in nome di una rivoluzione verde
mai avvenuta, finendo con l’affamare i contadini

In piena pandemia, dal giorno alla notte, ha inoltre messo al bando l’importazione e l’uso di fertilizzanti chimici, in nome di un’osannata rivoluzione verde di fatto però mai avvenuta, finendo con l’affamare i contadini.

Con queste premesse, il debito pesantissimo del paese, che da decadi dipende da potenze straniere – in primis Cina e India – è diventato insolvibile, la liquidità è divenuta introvabile e il paese scende in una spirale dolorosa, apparentemente irrefrenabile.

Interruzione dei servizi
Uno dei beni essenziali che manca sempre di più in queste settimane, a Colombo e nel resto dell’isola, è la corrente elettrica. Non è mai stata un bene a flusso continuo e il paese è stato abituato a interruzioni di corrente di qualche ora la settimana, ma ora la corrente elettrica manca costantemente, per 13 ore al giorno. Ciò significa non solo disagi per la popolazione, ma anche interruzione dei servizi pubblici e privati, fallimento di piccole imprese, fuga dei turisti e una serie di altre pessime conseguenze.

Lo Sri Lanka produce la propria energia con centrali a carburante, a carbone e idroelettriche. Ora che manca il carburante e che piove poco, solo la centrale a carbone, costruita ovviamente dai cinesi e altamente inquinante, produce corrente elettrica con continuità.

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Lo sa bene Deemos, che «più si invecchia e più affiorano ricordi lontanissimi»: ricorda molto bene che cosa è successo a quest’isola nei 70 anni di vita del suo corpo stanco, corpo che da anni si prepara al trapasso, aiutato da un tumore lento ma poco fastidioso.

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Seduto sulla sua chaise longue di olandese memoria, sotto il portico della casetta nella campagna, al caldo torrido delle foglie di palma, rivede nella mente e negli occhi velati le rivolte del Janatha Vimukthi Peramuna – Jvp, il fronte di liberazione popolare di ispirazione marxista. E poi gli attacchi terroristici delle Tigri Tamil, la guerra, lo tsunami, la speranza della rinascita e il succedersi di presidenti, primi ministri e politici teatranti di vario livello.

Gli sembra di sentire la mamma che lo dondola nella culla di corda appesa al soffitto della casetta fatta di rami di cocco e contemporaneamente lo sventola con un foglio per scacciare le mosche e l’umidità. Allora l’eccezione era quando funzionava la corrente elettrica, ma il mondo era diverso.

Il solito sistema di comando
Hashen non sta seduto sulla sedia, tanto la sua sedia dell’ufficio è vuota: ha perso il lavoro con il Covid e anche la sua economia informale di sussistenza è crollata.

Hashen sta in piedi, con migliaia di altri, per le strade di Colombo, urlando slogan, chiedendo una soluzione duratura alla crisi, bruciando bandiere e immagini di politici. E bruciando cosi l’unico carburante che resta in abbondanza nel paese: rabbia, unita alla frustrazione.

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Con lui ci sono migliaia di uomini e donne, ragazze e ragazzi che, evento raro nel paese, si stanno facendo sentire con forza e costanza. Il passo dalla frustrazione alla distruzione è breve e la delicatezza sociale del momento è chiara: un cambio di governo – cosi come chiesto da molti – non risolverebbe le cose se non accompagnato da serie, professionali e mirate riforme delle politiche economiche e finanziarie e nei campi della lotta alla corruzione, della pianificazione economica, del supporto ai settori produttivi.

Hashen, cosi come moltissimi altri di ogni età, genere ed estrazione, vede una sola possibile soluzione: lasciare lo Sri Lanka, emigrare all’estero per fare qualsiasi cosa che permetta una speranza.

Questo desiderio diffuso alimenta i circuiti, oliati sapientemente da decenni, dello sfruttamento, della tratta di essere umani e della fuga delle giovani menti imprenditoriali, sociali e politiche del paese, che resta ostaggio del solito, noto, sistema di comando.

Il governo per ora ha risposto imponendo il coprifuoco di polizia, per prevenire manifestazioni oceaniche; ha oscurato per alcune ore i social media e tutto il consiglio dei ministri si è dimesso, tentando di aprire la strada a un esecutivo di coalizione.

Le misure, però, risultano inefficaci, tardive e di facciata. Sarebbe necessario un cambio molto più radicale, non solo in termini di nomi o poltrone, ma anche di politiche, relativi a interventi strutturali e ai legami con il mondo.

Sul versante finanziario, il governo ha trattato accordi con il Fondo Monetario Internazionale, ha ottenuto linee di credito miliardarie dall’India e, addirittura, un altro accordo – il secondo in pochi mesi – di scambio finanziario con il Bangladesh, uno dei paesi più poveri dell’area. Soluzioni necessarie e urgenti, ma ancora del tutto in linea con ciò che ha portato alla disastrosa crisi attuale.

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Vijitha è indaffarato a trasferire i pesci dagli acquari. Ha 24 anni e un elevato spirito di iniziativa, che lo ha portato ad aprire un negozio di animali. Le cose non vanno male ma la mancanza di elettricità è nemica della vita dei pesci: se non funzionano le ventole per il ricambio dell’acqua, non arriva ossigeno nell’acquario. Così Vijitha ha recuperato una bombola di ossigeno medicale, pagandola a caro prezzo da un dottore della zona, e riempie sacchi di acqua, ossigeno e pesci: dovrebbero sopravvivere almeno per 4 ore, fino al quotidiano ritorno dell’elettricità.

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Forse anche il popolo dello Sri Lanka avrebbe bisogno dello stesso tipo di supporto: aria fresca per soffiare via l’asfissia. Trarrebbe di sicuro giovamento dall’ossigeno delle riforme, della rettitudine politica, della competenza. E da visioni di crescita concentrate sul bene comune, e non su quello dei soliti pochi.

Aggiornato il 05/04/22 alle ore 10:04