24 Luglio 2023

1 | Turchia: il nostro racconto

Primo di una serie di articoli di quattro giovani toscani in Anatolia per sostenere l’azione di comunicazione della Caritas locale

Da sinistra: Santina Morciano, Francesca Benenati, Andrea Bimbi, Chiara Pellicci

Il gemellaggio «si può definire un’esperienza, un percorso di prossimità tra chiese e comunità» raccontava Alessandro Cadorin – coordinatore dei progetti di Caritas Italiana in Turchia – sull’edizione di “Toscana Oggi” di domenica 11 giugno in riferimento alla scelta di associare le Caritas toscane a quella turca.

«Si tratta di un rapporto che è rivolto a tutte le diocesi coinvolte. È un percorso tutto da costruire su principi comuni di relazione: questo significa scambio di esperienze, di progettualità, di visite formative. Questo cammino non ha niente di definitivo e precostituito: non è un rapporto verticale tra qualcuno che dà e qualcuno che riceve, ma orizzontale, basato, appunto, sui valori condivisi, il confronto e la reciprocità. È quindi un’occasione di vicinanza, solidarietà e ricaduta sul territorio in termini di educazione alla mondialità. Anche un’opportunità di formazione e crescita per gli operatori che potranno visitare la Turchia, così come per chi arriverà in Italia a visitare le attività delle Caritas diocesane della Toscana».

RACCONTARE SEGNI DI RINASCITA

Il terremoto del 6 febbraio 2023 ha sconvolto drammaticamente la situazione in Turchia, in particolare nella zona sud-est, dando un nuovo impulso e nuove priorità al gemellaggio e alle azioni più impellenti cui rispondere.

Una prima proposta, in questo senso, è stata la videoconferenza dello scorso 5 maggio, quando i referenti delle Caritas diocesane e di Caritas Italiana si sono incontrati online per programmare al meglio le successive iniziative: nel prossimo autunno una delegazione toscana partirà verso Istanbul e dintorni per conoscere dal vivo gli operatori locali.

Nel frattempo, in Turchia è emersa l’urgenza di raccontare, testimoniare non solo le azioni e le risposte messe in atto a fronte del disastro del terremoto, ma soprattutto i segni di speranza, di rinascita, di testimonianza dell’amore e della carità cristiana.

La Caritas diocesana di Anatolia (che si trova nella provincia maggiormente colpita dal terremoto – in alcuni villaggi e città della zona gli edifici inagibili a causa delle scosse raggiungono percentuali dell’80%) ha visto totalmente stravolta la propria operatività: è facile immaginare quanto i bisogni dei territori siano esponenzialmente aumentati, imponendo a una piccola Caritas come quella che ha sede a Iskenderun una totale e immediata riorganizzazione.

UNA PRIMA MISSIONE

Per questo, in parallelo al gemellaggio e alle future iniziative, una delegazione di toscani under 35 è stata coinvolta in una breve ma intensa missione per sostenere l’azione di comunicazione della Caritas Anatolia.

Si tratta di quattro persone, tutte impegnati nelle rispettive diocesi:

Andrea Bimbi, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Massa Marittima – Piombino; Francesca Benenati, responsabile dell’Emporio della Solidarietà e dell’Area Giovani di Caritas Massa Marittima – Piombino; Chiara Pellicci e Santina Morciano, entrambe impegnate nell’area Young Caritas delle proprie diocesi, Lucca e Firenze.

Accolti da don Marco Pagniello e Laura Stopponi, rispettivamente direttore di Caritas Italiana e responsabile dell’équipe Europa, i quattro inviati hanno incontrato la realtà di Caritas Anatolia, immergendosi gradualmente nel contesto locale grazie all’accoglienza del direttore locale, John Sadredin, e dell’operatrice espatriata, Giulia Baleri.

I quattro ragazzi con Giulia Baleri (prima a sinistra), operatrice espatriata di Caritas Italiana

INCONTRI E STORIE

Dopo la visita a Iskenderun, la città dove ha sede l’episcopio e la cattedrale cattolica dell’Annunciazione ormai crollata, il primo giorno si è caratterizzato per l’incontro con gli operatori locali. Il gruppo ha raccolto tante storie, tutte diverse, ma tutte piene di vita e speranza: quella di Sezar e Julide, che hanno vissuto in prima persona il terremoto e ora stanno lavorando senza sosta per servire la propria comunità, nonostante la fatica di tornare a dormire nel proprio letto; quella di Samir, giovane fiorentino di origini giordane, che si trovava in Turchia per un tirocinio e che, nonostante avesse potuto tornare a casa il giorno dopo la catastrofe con il volo organizzato dall’ambasciata, ha deciso di rimanere; quella di Giulia, che ha accettato la proposta di mettersi in gioco come operatrice espatriata per supportare Caritas Anatolia nell’azione di sostegno alla popolazione.

La cattedrale dell’Annunciazione di Iskenderum, crollata dopo il terremoto

Tanti incontri anche il secondo giorno, quando, invece, il gruppo si è spostato verso il villaggio di Ovakent e la città di Antiochia, le zone maggiormente colpite: pochi gli edifici rimasti in piedi, rasente lo zero il dato di quelli ancora agibili.

Ma anche in queste terre desolate la vita emerge con forza, come quella piccola pianta di basilico che, nell’episcopio – non sappiamo come – sta crescendo in mezzo al pavimento.

Habibe, ragazza di 23 anni con tre figli, sta strutturando, nel campo formale, un laboratorio di cucito dove, al momento, lavorano già 20 persone.

Qualche centinaia di metri più in là, nel campo informale, alcuni giovani, tra cui Somsettin e Ahmed, hanno costituito una fondazione che permetterà di realizzare numerosi progetti per le famiglie in difficoltà: un forno per il pane, un depuratore d’acqua, una piccola mandria di mucche per far ripartire l’economia locale, la costruzione – con le loro mani (e competenze) – di 75 container per far uscire almeno 75 famiglie dalle tende, invivibili a causa del caldo torrido.

Una piantina di basilico cresce inaspettatamente nel cortile dell’episcopio

UN MESSAGGIO DI SPERANZA

Queste sono solo alcune delle storie incontrate dal gruppo in missione. Il loro comun denominatore è rappresentato da una frase che scritta da noi potrebbe risultare banale, ma che, sentita in quelle terre, suscita brividi sulla pelle: «Noi siamo fortunati, perché siamo ancora vivi e sani: dobbiamo rimboccarci le maniche senza aspettare gli aiuti di nessuno. Lo dobbiamo al nostro popolo». È questo il leitmotiv che veniva ripetuto ogni volta, chiunque fosse l’intervistato.

ISTANBUL E IL RIENTRO

Infine, tappa ad Istanbul, dove i ragazzi in missione, accompagnati da Giulia Longo, vicedirettrice di Caritas Turchia, hanno conosciuto anche la realtà nazionale di una Caritas che oggi è al centro dell’attenzione per il ruolo e l’importanza che il Paese in cui ha sede riveste nello scacchiere internazionale, in una situazione così complessa.

Al momento le principali linee di intervento si sono sviluppate intorno a quattro attività principali: accoglienza e assistenza a famiglie sfollate; la distribuzione di kit alimentari, igienici e vestiti, inclusi, per i mesi di febbraio e marzo, anche di articoli per l’inverno (coperte, stufe…); la fornitura di pasti caldi per persone sfollate nei campi informali nella città di Iskenderun e il monitoraggio post-distribuzione e continua analisi dei bisogni.

Ad oggi in Turchia si contano più di 50.000 vittime e 170.000 feriti. Le persone direttamente colpite da questo terremoto sono più di 9 milioni, di cui 3 milioni di sfollati.

In particolare, in Turchia sono stati colpiti i distretti di Kahramanmaraş, Gaziantep, Hatay, Şanlıurfa, Diyarbakır, Adana, Adıyaman, Osmaniye, Kilis, Malatya e Elazığ. I primi tre hanno avuto il maggior numero di vittime. Tra le statistiche più impressionanti anche quella del crollo di oltre 210.000 edifici in Turchia.

Su “Italia Caritas” la missione di Chiara, Francesca, Santina e Andrea in Turchia continua: lunedì 31 luglio sarà pubblicato un nuovo articolo.

Aggiornato il 31/07/23 alle ore 14:21