L’alba gialla di Kiev

Vivo in Ucraina da tre anni; ormai, se la notte strillano le sirene antiaeree, non mi sveglio più. Due giorni fa però erano le tre del mattino e ho aperto gli occhi di botto – un’esplosione vicino a casa aveva fatto tremare i vetri. In strada i lampioni erano spenti, fuori era tutto nero; la luce dei razzi della contraerea, fatta a strisce dai serramenti della camera da letto, oscillava sul pavimento avanti e indietro come la lancia di un metronomo. Più i razzi erano vicini più accelerava il ritmo.
Ho messo i gatti nel porta-gatti, uno per gatto che sennò si litigano, sono sceso nella cantina del palazzo che chiamiamo bunker e ho steso per terra il materassino da campeggio. C’era un gruppo di giovani truccati col glitter, uno a torso nudo, che sicuro stavano festeggiando qualcosa quando l’allarme è partito, e una coppia con un cane che abbaiava; poi mi hanno spiegato (nel bunker ci ho passato due ore, abbiamo fatto molte chiacchiere) che il cane viene dal Donbas, che là ci sono posti cancellati dall’artiglieria che batte come grandine, i padroni sono morti e da quando l’hanno adottato se lui sente delle esplosioni, anche molto lontane, comincia a urlare e a lamentarsi e va abbracciato forte poi si calma. Una ragazza di quelli col glitter si è messa a coccolare uno dei miei gatti mi ha chiesto come si chiamasse le ho detto che si chiama Pandoro. In Ucraina non sanno che il pandoro è un dolce e pensano sempre che il mio gatto abbia un nome da dio greco, tipo la versione maschile di Pandora, e quando lo dico fanno sempre ohhh.
Poi, dopo un’ora, è scesa una signora che abita al settimo piano e rispetto la sua flemma ma mi fa un po’ paura: se c’è un impatto è sempre in alto, io sono un privilegiato che vivo al piano terra, e i droni, se non li intercetta la contraerea, piallano tutto quello che sta più su di un quarto piano; la signora si chiama Marina è molto gentile e ha sei Shih Tzu, che sono quei cani che sembrano dei moci vileda, e c’erano anche loro nel bunker. Sono tutti adottati e pare strano perché sono cani di razza, e ci si immagina che un cane che costa così tanto il padrone non lo abbandoni, anche solo per avarizia, ma da quando è iniziata la guerra la priorità è lasciare il paese, anche per le famiglie benestanti, e rimane indietro il cucciolo da duemila euro. Ho provato a imparare i nomi degli Shih Tzu ma mi ricordo solo Dasha e Sasha.
Ho scoperto di avere un vicino che lavora per la Comunità Europea, si chiama Thomas e a giudicare dal cognome è slovacco ma sembra tedesco. Sta a Kiev solo da un mese e si è presentato nel bunker con la borsa del primo soccorso e una giacca impermeabile, come da manuale, anche se faceva quasi trenta gradi, stava seduto a uovo e i ragazzi in glitter lo guardavano come un alieno. Rischiamo sempre di essere un po’ alieni, noi che possiamo andarcene con un treno quando ci pare, e che non corriamo il pericolo di essere arruolati mentre prendiamo la metro o andiamo al supermercato.
L’allarme è rientrato verso le cinque del mattino; fuori c’era un’alba gialla, sono risalito nel mio appartamento e ho chiuso le finestre perché c’era odore di bruciato, un bruciato chimico come quando gratti con la frizione del cambio; la città puzzava di incendi e sentivo le sirene affilate dei vigili del fuoco.
*Coordinatore dei progetti in Ucraina per Caritas Italiana
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