Lo sguardo “fuori campo”: una proposta di conversione comunitaria
La presentazione del Rapporto annuale su povertà ed esclusione sociale, prima ancora che essere un’analisi dei dati, è un atto ecclesiale, un modo concreto con cui la Chiesa in Italia sceglie di guardare il Paese con gli occhi dei poveri, per interrogarsi sul senso e sulla direzione del proprio cammino.
Da quasi trent’anni, il nostro Rapporto cerca proprio di dare nome e volto a chi è escluso. Un esercizio di memoria, anzitutto, e di coscienza civile, che nasce dal basso: dai centri di ascolto delle Caritas diocesane e parrocchiali, dai volontari che ogni giorno si chinano sulle storie delle persone, dagli operatori che imparano, attraverso l’incontro, a leggere la realtà con gli occhi del Vangelo.
Quest’anno il Rapporto ci restituisce un quadro che non può lasciarci indifferenti. Le disuguaglianze economiche e sociali sono diventate più profonde e il rischio di esclusione interessa fasce sempre più ampie della popolazione.
Accanto alla povertà materiale, emergono povertà educative, relazionali, abitative, sanitarie, psicologiche, segno di una fragilità diffusa che attraversa la società e la rende più vulnerabile. Ci sono forme di disagio nuove o ancora poco riconosciute – come l’impatto sociale dell’azzardo, la violenza sulle donne, la povertà energetica – che mostrano come la crisi non sia più soltanto economica, ma umana e culturale.
E se dietro ogni numero ci sono volti e storie, è bene riconoscere anche la presenza di una comunità che è chiamata ad interrogarsi, perché la povertà non è mai solo “di qualcuno”, ma è una ferita che attraversa il corpo sociale e che interroga la qualità della nostra democrazia, della nostra economia, delle nostre relazioni.
Come Chiesa, non possiamo restare spettatori. La nostra presenza accanto ai poveri non è certamente un servizio opzionale, me è la forma stessa del Vangelo vissuto nella storia. Essere “fuori campo”, per noi, significa stare lì dove la vita è più fragile; significa abitare i luoghi dove la dignità è minacciata e generare segni concreti di speranza.
Il Rapporto di quest’anno ci aiuta a comprendere che non bastano politiche di emergenza o sussidi temporanei. È necessario un nuovo paradigma di sviluppo umano integrale, fondato sulla dignità della persona e sulla giustizia sociale.
C’è bisogno di una comunità che investa maggiormente su educazione, lavoro, casa, salute, transizione ecologica, relazioni di cura.
Questa è la sfida che Caritas Italiana vuole condividere con tutti. La povertà non si contrasta da soli. Si affronta insieme, riconoscendo che nessuna competenza, nessuna legge, nessuna buona volontà basta se non è animata da una visione comune di giustizia e fraternità. La collaborazione tra pubblico e privato, la corresponsabilità tra comunità ecclesiale e società civile, il lavoro comune tra Chiese, enti locali, Università e imprese, sono oggi il terreno su cui costruire politiche inclusive e sostenibili.
In questo senso, il Rapporto si trasforma anche in una proposta di conversione comunitaria. Ci chiede di cambiare sguardo, di passare dalla logica dell’assistenzialismo a quella della relazione; dalla paura della fragilità, alla fiducia nella forza trasformativa della solidarietà; dalla gestione dell’emergenza alla promozione dell’umano.
Il nostro Paese ha bisogno di ritrovare questa fiducia. Ha bisogno di comunità che sappiano guardarsi attorno e dire: “questa povertà mi riguarda, questa ferita è anche la mia”. Solo così potremo restituire speranza, come ci chiede il Papa, e costruire un futuro che sia davvero di tutti.
Affidiamo questo Rapporto alla luce dello Spirito, perché come Chiesa, anzitutto, possiamo continuare a dire con semplicità e verità che nessuno è fuori campo, finché c’è qualcuno disposto a “volgere lo sguardo” per osservare le fragilità e le risorse che definiscono il nostro tempo.
*presidente di Caritas Italiana
Aggiornato il 18/11/25 alle ore 16:11

