05 Ottobre 2022

Se i numeri valgono più delle persone…

Una riflessione a partire dalla morte del giovane rider di Firenze Sebastian Galassi


«Gentile Sebastian, siamo spiacenti di doverti informare che il tuo account è stato disattivato per il mancato rispetto dei termini e delle condizioni». Recita così parte della mail inviata da Glovo a Sebastian Galassi, giovane rider morto dopo essere stato travolto da un’auto mentre effettuava una consegna. L’azienda ha comunicato a Sebastian il licenziamento il giorno dopo la sua morte, un provvedimento preso perché il 26enne non era stato in grado di rispettare gli ordini, di soddisfare le consegne: consegne che Sebastian non aveva potuto eseguire, proprio perché deceduto mentre svolgeva il suo lavoro.

La morte di Sebastian Galassi non deve essere dimenticata. È un doloroso monito che punta il dito su una società malata che ha trasformato il lavoro, da luogo di speranza per la vita a luogo dove la vita viene soffocata e la speranza viene sepolta

Sebastian aveva 26 anni ed era di Firenze. Aveva studiato come grafico e di recente si era iscritto a un corso di design per specializzarsi ulteriormente. Viveva in casa con suo padre e il fratello, la madre era morta anni fa. Sebastian aveva scelto di incrementare le sue entrate per pagarsi gli studi facendo il rider: una professione rappresentativa della sempre più diffusa gig economy, dominata dalla frammentazione lavorativa, dall’imperativo della singola prestazione. Un termine quello di gig, mutuato dalla musica jazz, che fin dagli inizi del ‘900 indicava l’ingaggio del “fortunato” musicista per quella serata.

Aveva iniziato a lavorare anche in orario serale e nel fine settimana perché la paga di 600 euro mensili era troppo bassa. La sera del 1° ottobre, durante una consegna, Sebastian si è scontrato con il suo motorino contro un SUV, per poi venire travolto da un’altra auto. L’ennesima morte bianca sul lavoro.

I lavoratori di tali piattaforme di delivery infatti, non avendo la certezza di riuscire a mettere da parte uno stipendio a fine mese, sono costretti a correre per effettuare più consegne e quindi guadagnare di più. Un meccanismo perverso che sta alla base dell’alto tasso di incidenti nel settore: perché il guadagno è direttamente proporzionale al numero di consegne effettuate nel minor tempo possibile. Un’equazione pericolosa che influenza anche il lavoro futuro perché più consegne si portano a termine, maggiore sarà la considerazione del lavoratore da parte dell’algoritmo per assegnare gli ordini.

Se i numeri valgono più delle persone, come Chiesa abbiamo il dovere di gridare

Gridare insieme come assemblea di cristiani contro le ingiustizie sostenendo con forza la voce dei lavoratori sfruttati, governati da algoritmi e logiche disumane improntate al profitto. Ed è fondamentale far sì che l’uomo e la sua cura siano centrali nel lavoro; e che il lavoro possa essere riscattato dalla logica del mero profitto ed essere per tutti un luogo di dignità e crescita personale, come ha più volte sottolineato papa Francesco, anche in occasione dell’appello rivolto ad Assisi il 24 settembre scorso in occasione dell’evento “Economy of Francesco”.

«Fino a quando il nostro sistema produrrà scarti e noi opereremo secondo questo sistema, saremo complici di un’economia che uccide. Chiediamoci allora: stiamo facendo abbastanza per cambiare questa economia, oppure ci accontentiamo di verniciare una parete cambiando colore, senza cambiare la struttura della casa?… Forse la risposta non è in quanto noi possiamo fare, ma in come riusciamo ad aprire cammini nuovi».