12 Maggio 2025

Bologna: Diarra e Casa Rider

Un luogo di sosta e dignità per i riders. Caritas: «Qui siamo tanti operatori e di enti diversi. Ci completiamo e arricchiamo a vicenda»

Un luogo di sosta e dignità. Dove riprendere fiato prima di tornare a sfrecciare per la città tra ordini, consegne, appuntamenti. In un lavoro spesso senza alcuna tutela. Così Casa Rider è anche uno spazio per provare a essere riconosciuti nei propri diritti.

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Perché quando si parla di riders, o ciclofattorini, il rischio sfruttamento lavorativo è dietro l’angolo, al primo giro di manubrio. Siamo nel centro storico di Bologna, Porta Pratello, un luogo da tempo vocato alla socialità e alla solidarietà. Per dire, Caritas Bologna era qui con il Centro di Ascolto già da prima che partisse il progetto Casa Rider, lo scorso mese di febbraio. Diarra Diakhate, 32 anni, una laurea in Sviluppo e cooperazione internazionale, è la referente del progetto per Caritas Bologna, promosso insieme con ARCI e CGIL.

Casa Rider è un presidio di tutela dei diritti e ascolto per i riders, spesso in condizioni precarie e di invisibilità.
«E, aspetto importante, è nel cuore della città. Questo è un posto dove i riders possono fare pause in tranquillità, senza il timore di ritardare le consegne. Tutto è a circa un chilometro da qui. Quindi anzitutto Casa Rider ha un’utilità concreta. Ci sono divani, c’è la possibilità di prendere un caffè».

Il clima familiare aiuta le persone a raccontarsi?
«Certo. Spesso sono titubanti, hanno paura di esporsi troppo e perdere l’unico lavoro che hanno trovato. Ci auguriamo sempre che desiderino andare oltre il momento di pausa. Possono recarsi allo sportello CGIL per questioni lavorative, sindacali; allo sportello Eureka di ARCI per consulenza e accompagnamento ai servizi del territorio; al nostro Centro di Ascolto per accoglienza e affrontare temi abitativi o di integrazione. Gli operatori degli sportelli sono perlopiù giovani, proprio per agevolare un clima informale, pensato per abbattere le barriere linguistiche, culturali e psicologiche che spesso impediscono di chiedere aiuto. Non sempre riusciamo a risolvere in tempi brevi i loro problemi, ma anche “solo” gestire insieme la frustrazione del momento è importante».

A Porta Pratello avete allestito una ciclofficina, dove i riders possono riparare le rispettive biciclette. La ciclofficina nell’immaginario collettivo è da sempre anche un luogo di socialità.
«Noi forniamo materiali e loro provvedono alla sistemazione autonomamente. Anche la ciclofficina diventa un pretesto per favorire lo scambio di qualche parola. Può rappresentare un inizio informale di un legame più duraturo che porti a fare un pezzo di strada insieme».

Spesso i riders sperimentano le difficoltà di lavorare per aziende senza una sede di lavoro fisica. Casa Rider a suo modo colma un vuoto dando modo almeno di ritrovarsi tra loro?
«Sì, lavorano attraverso una piattaforma. Il fatto di non trovare un responsabile con il quale parlare per esprimere criticità o anche solo dire che tutto è andato bene risulta faticoso. Casa Rider è un laboratorio sociale che prova a rispondere a un bisogno urgente, valorizzando la persona prima del lavoratore, e dando voce a chi, troppo spesso, non ne ha».

Bologna è stato il primo grande centro italiano a diventare Città 30. Qualche anno prima il Comune aveva firmato la “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”. Insomma, c’è un’amministrazione attenta a questioni che ruotano intorno all’universo dei riders.
«Ci tengo anzitutto a dire, anche come operatrice Caritas, che abbiamo un’amministrazione che ci ascolta, con la quale lavoriamo bene. Siamo in costante dialogo. Vero, poi, quello che dici rispetto all’attenzione che pongono su questioni che comunque ruotano intorno al lavoro dei riders. L’immagine virale su telefoni e PC del rider del food delivery durante l’alluvione di qualche tempo fa con la bicicletta visibile per metà, l’altra metà sott’acqua, ha colpito la comunità, le coscienze. Ha fatto riflettere tutti su quanto sia importante tutelare quella categoria e avere tutti un po’ più di attenzione e rispetto».

Diarra, cosa rende per te unica Porta Pratello rispetto ad altre opere segno Caritas?
«Che siamo tanti operatori e di enti diversi. Ci completiamo e arricchiamo a vicenda. Questa è una manna dal cielo per il nostro lavoro, che non può prescindere dalla collaborazione, ma è anche bellissimo pensare che le persone sanno che qui trovano risposte a diverse criticità. E operatori che diventano un punto di riferimento. Anche semplicemente per fare una chiacchierata».