06 Dicembre 2021

Legge di bilancio positiva. Ma tardiva

La proposta all’esame del Parlamento risponde ad alcune sfide. Ma con un decennio di ritardo. E considera un mero costo gli investimenti sociali


«La manovra di bilancio si pone l’obiettivo di supportare la crescita, sostenendo l’economia nella fase di uscita dalla pandemia, così da recuperare nel 2022 il livello di Pil precedente la crisi, e ponendo le condizioni per aumentare il tasso di crescita del prodotto nel medio termine. Si mira, inoltre, a ridurre il carico fiscale per famiglie e imprese». L’eloquente citazione è tratta dal Documento programmatico di bilancio 2022, approvato dal Consiglio dei ministri il 19 ottobre e successivamente trasmesso alla Commissione Ue. Il documento tiene conto degli indicatori economici di inizio autunno e della politica monetaria espansiva attuata da anni dalla Banca Centrale Europea. Una politica che permette alle imprese, ma soprattutto agli stati, di indebitarsi con tassi di interesse bassi, se non addirittura negativi.

La Legge di Bilancio 2022 è basata sulla prosecuzione, per il terzo anno consecutivo, di una politica fiscale di tipo espansivo, iniziata nel 2020 dopo la “scoperta tardiva” della pandemia. Le spese finali dello stato, compresi gli interessi sul debito, scendono a 975.840 miliardi di euro, rispetto ai 997.919 miliardi del 2021, e – nelle previsioni triennali – si assesteranno su valori analoghi (974.953 nel 2023, 981.309 nel 2024). Per completezza va segnalato che le spese finali del 2019, l’anno prima della pandemia, erano pari a 871.003 miliardi e rappresentavano il 48,6% del Pil, mentre sono salite al 57,1% nel 2020, per poi scendere al 56,1% nel 2021 e al 51,8% nel 2022; torneranno al 48,4% nel 2024. La discesa, più che dal calo della spesa, dipende dalla crescita del Pil; con una maggiore crescita dell’economia possiamo permetterci maggiori livelli di spesa pubblica senza ripercussioni significative sul ruolo dello stato nell’economia e senza aumentare il “fardello” del debito pubblico.

L’Iva supera le imposte dirette
Le componenti della spesa che aumentano sono quelle del personale dipendente e delle pensioni. Nei primi mesi del 2022 verranno erogati ai dipendenti statali gli aumenti previsti dal rinnovo contrattuale del periodo 2019-2021, la cui firma è prevista per fine anno. Verranno inoltre stabilizzate e assunte nuove figure nel settore sanitario e negli uffici chiamati a realizzare il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Riguardo all’aumento delle pensioni, la causa è da ricercarsi nell’adeguamento dei trattamenti vigenti al tasso di inflazione del 2021, che ha raggiunto a novembre il 3,1%.

Spesa per le pensioni in crescita: effetto della risalita dell’inflazione

Tutte le altre componenti della spesa sono previste in diminuzione, ma sempre su valori significativamente superiori a quelli del 2019. Fanno eccezione gli interessi passivi sul debito pubblico, che sono previsti in diminuzione venendo a scadere titoli di stato emessi negli anni in cui i tassi di interesse erano più elevati.

Sul versante delle entrate, le stime prevedono di ritornare a valori superiori a quelli pre-Covid, raggiungendo 894.109 miliardi nel 2022 (erano 841.441 nel 2019). L’incremento maggiore è concentrato sulle imposte indirette (Iva e imposte sui consumi) il cui gettito, per la prima volta dopo la riforma fiscale del 1973, supera quello delle imposte dirette: il risultato è la conseguenza della crescita economica prevista e all’annunciata diminuzione del carico fiscale sui redditi da lavoro.

Più crescita, più occupazione?
Partendo da questo quadro generale, è possibile elaborare qualche riflessione attorno a questa manovra. La sua espansività si pone l’obiettivo di alimentare la crescita, in una prima fase grazie all’effetto combinato degli sgravi fiscali, della riduzione di imposte su alcuni consumi (necessarie per non far ripartire l’inflazione) e del forte aumento degli investimenti pubblici. Tutte misure che possono incrementare il tasso di occupazione della popolazione italiana, tendenza che – quando diventa duratura – alimenta a sua volta la crescita interna. Solo con la diminuzione consistente degli inattivi e dei disoccupati, che complessivamente rappresentano il 44,9% della popolazione in età compresa tra i 15 e i 64 anni (si tratta di 15,829 milioni di individui), è peraltro possibile alimentare il “circolo virtuoso” più-crescita-più-occupazione, realizzando il principale obiettivo ipotizzato da questa manovra economica.

La sua espansività si propone di alimentare la crescita.
Ciò può incrementare il tasso di occupazione, che
se è duratura alimenta a sua volta la crescita interna…

Ma la crescita ha anche un altro effetto benefico; permette infatti di mantenere sotto controllo il rapporto debito-Pil, che (negli scenari del documento governativo) scenderebbe sotto il 150% già dal 2022 e che, grazie al saldo primario previsto già nel 2023, continuerebbe poi la sua inesorabile discesa.

Tre grandi pericoli
Su questi scenari e su questi obiettivi possono abbattersi da soli, o in modo combinato, tre grandi pericoli: l’inflazione, una ripresa della pandemia in grado di sfuggire al contenimento del sistema sanitario, la minore crescita del commercio mondiale.

Una crescita del tasso di inflazione su livelli superiori al 3% per gli anni a venire destabilizzerebbe il bilancio dello Stato. Tale situazione aumenterebbe ogni anno la spesa pensionistica su valori simili a quelli del 2022. Considerando inoltre la durata media del debito pubblico superiore ai sette anni e la sua consistenza, pari a oltre 2.706 miliardi (dati di fine settembre), si dovrebbero reperire nel bilancio dello stato cifre superiori ai 20 miliardi per ogni anno a venire. Non resterebbe che ritornare alla triste politica dei “tagli”, che coinvolgerebbero la spesa sociale, il sistema sanitario, quello scolastico e gli enti locali.

Una forte ripresa della pandemia, tale da mettere in crisi il sistema sanitario, costringerebbe invece il paese ad alcune chiusure e aumenterebbe le spese sanitarie e quelle sociali senza far aumentare la produzione. Una delle condizioni necessarie alla crescita, dunque, è applicare le misure sanitarie di contenimento della pandemia e responsabilizzare i cittadini perché adottino comportamenti conformi.

Una condizione necessarie alla crescita è applicare
le misure sanitarie di contenimento della pandemia.
E sollecitare i cittadini a comportamenti conformi

La minore crescita del mercato mondiale farebbe infine venire meno una parte del contributo alla crescita del Pil che ci viene dalle esportazioni; l’obiettivo del 4,7% di aumento del Pil per il 2022 ne risulterebbe compromesso.

Una scommessa keynesiana
La legge di bilancio 2022 è ovviamente complementare al Piano nazionale di ripresa e resilienza, che è il vero documento di programmazione economica per i prossimi anni. E il Piano rappresenta una scommessa keynesiana – vale a dire forti investimenti pubblici per generare una crescita durevole, oltre il rimbalzo di breve periodo – in un quadro di economia liberista, nel quale gli investimenti sociali sono semplicemente complementari, non strategici, per la crescita.

Non si vuole negare l’importanza degli investimenti appostati in legge di bilancio, relativi ad ambiti significativi (quali i Livelli essenziali delle prestazioni, a partire dalla non autosufficienza) o ad alcuni urgenti bisogni sociali. Ma la loro apposizione nel testo di legge non si traduce in provvedimenti immediatamente attuativi e in stanziamenti finanziari tali da garantirne la traduzione in diritti esigibili, né, d’altro canto, è il segno di un diverso modello di sviluppo.

Tali investimenti rappresentano piuttosto una sorta di esito postumo di anni di riflessione teorica e di spinte sociali per completare un sistema di tutele che affronti la questione della lotta alla povertà (provvedendo garanzie contro i rischi sociali uniformi in tutte le regioni) e operi una presa in carico non solo monetaria dell’area della non autosufficienza.

Peraltro la legge di bilancio 2022 – così come il Pnrr – riconosce questo schema, ma fa solo un primo passo dichiarativo, senza definire – al momento – investimenti conseguenti. Questi provvedimenti, di fatto, inaugurano un cantiere attuativo, di cui però non è dato conoscere le date di consegna…

Roma, 2019: esordio del Reddito di Cittadinanza. Che la legge di Bilancio 22 corregge ma rifinanzia


Solo il Reddito di cittadinanza, rattoppato alla meno peggio  – soprattutto sul versante dell’inclusione lavorativa, con il coinvolgimento delle agenzie private accreditate per aumentare l’occupazione dei beneficiari –, continua a essere garantito. Il resto viene annunciato, ma non si realizzerà nel breve periodo, forse anche in attesa di capire se la scommessa keynesiana venga vinta o meno, ciò che genererebbe più occupazione – e dunque riduzione dell’area del Rdc – e un flusso rafforzato di fiscalità, in grado di sostenere contestualmente debito pubblico e nuovi diritti sociali. Nella consapevolezza che la bassa crescita del periodo pre-pandemia è dipesa principalmente dal basso tasso di occupazione.

Terzo settore ancillare
Ci sono poi altre questioni specifiche che meritano di essere segnalate. Si segnala un aumento delle risorse a disposizione anche sul versante delle attività di cooperazione allo sviluppo, in seguito a una decisione del Consiglio dei ministri, che ha assunto un impegno volto ad assicurare una progressione tendenziale anche nei prossimi anni. Si tratta di un segnale importante, ancora però lontano dal raggiungimento dell’obiettivo accettato a livello internazionale, ovvero stanziamenti equivalenti allo 0,7% del Reddito nazionale lordo.

Ma alla fine della stagione del Pnrr, dal 2026 in poi, il debito – al netto del rischio inflattivo – attenderà i governi e le politiche pubbliche: solo allora saremo in grado di capire cosa resta di questa stagione di investimenti.

Il terzo settore è evocato genericamente, o rinchiuso
nella riserva indiana di alcuni interventi, senza
riconoscerne il ruolo generale per l’economia del paese

Peraltro gli investimenti esplicitamente sociali continuano a essere considerati un mero costo: prova ne è, nel Pnrr, il ruolo del terzo settore, sostanzialmente ancillare e non sussidiario: o evocato genericamente, o rinchiuso nella riserva indiana di alcuni interventi, senza riconoscerne un ruolo generale per l’economia – tutta l’economia – del paese.

Insidie nei dettagli
In conclusione, quella in preparazione per il 2022 è una legge di bilancio che avremmo voluto vedere nel decennio che abbiamo alle spalle, quando esperienze sociali e riflessione teorica avevano già disegnato un modello di società, non solo di welfare, inclusivo e sostenibile.

Il riconoscimento di questo schema è certamente un successo, seppure tardivo, ma l’insidia si nas-conde nei dettagli: la partita dell’advocacy per ottenere non qualche misura – che è il classico decalage attuativo già sperimentato negli ultimi anni –, ma un disegno compiuto di diritti, si apre ora e impone vigilanza sui tempi, sulle modalità, sugli effettivi finanziamenti, sulle forme di coinvolgimento (che non deve equivalere alla esternalizzazione di qualche servizio, magari i più residuali) dei soggetti sociali.

Rispetto alle politiche economiche, resta il rischio che
lo schema neoliberista implicito generi sì spesa, ma
non sviluppo. Lasciando i territori più deboli alla deriva

Ma soprattutto, permane il rischio che sulle politiche economiche vettoriali lo schema neoliberista implicito generi sì spesa, ma non sviluppo, lasciando i territori più deboli alla deriva di una globalizzazione e di una questione climatica i cui effetti negativi sono sempre più evidenti.

Quindi ci troviamo di fronte a una legge di bilancio – ancora dentro al paradigma della emergenza pandemica – che ha certamente aspetti positivi, ma per lo più tardivi, e che pertanto guarda soprattutto alle mancate sfide del passato, piuttosto che a un futuro diverso dal presente.

In questo senso va considerata paradigmatica l’assenza – nell’azione di governo – del tema dell’immigrazione, che fa capolino solo riguardo al tema dei richiedenti asilo. Cosa che è certamente comprensibile rispetto alle dinamiche di un governo di coalizione, ma non condivisibile dal punto di vista di chi spera in un paese adeguato alle sfide che deve affrontare. E circostanza che, come in altri ambiti, rischia di produrre effetti conservativi invece che trasformativi di alcune politiche. Le quali rimangono inesorabilmente lontane dalle dinamiche e dai bisogni reali dei cittadini e delle comunità territoriali del nostro paese.

Aggiornato il 10/12/21 alle ore 16:27