Il migrante spaesato di Conrad
Lavorare con le parole significa raccogliere ogni volta un nuovo guanto di sfida. Anche se ti chiami Susanna Basso e hai tradotto, tra gli altri, Ian McEwan, Martin Amis, Alice Munro, Kazuo Ishiguro, tutta Jane Austen. Anche se hai vinto premi importanti e hai scritto un libro sull’esperienza della traduzione. Poi la casa editrice Einaudi ti chiede di tradurre il racconto breve “Amy Foster” di Joseph Conrad e devi ricominciare quasi daccapo. Perché Conrad (1857-1924), uno dei principali autori in lingua inglese, quello che dai suoi viaggi ha tratto avventurosa ispirazione per classici come “Cuore di tenebra”, “Tifone”, “Nostromo”, è lo scrittore dello spaesamento. Che in “Amy Foster” trova la sua piena espressione. Si narra la vicenda di Yanko Goorall, emigrante dall’Europa dell’Est. Destinazione: America. Non la raggiungerà mai perché la nave su cui viaggia fa naufragio sulle coste della Gran Bretagna. E si ritrova, impaurito, in una comunità che lo considera estraneo, troppo “altro”, impossibile da immaginare. Tutti, tranne una ragazza, lo ritengono una minaccia, mentre «Yanko ha solo freddo e fame, ma non sa come si dice». Tutto lo spaesamento di Yanko trapela in ogni pagina, in ogni frase che descrive il protagonista – o forse no leggendo il nome nel titolo – di questo racconto del 1901 – o forse no: degli anni Duemila.
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Aggiornato il 06/05/23 alle ore 11:05