12 Ottobre 2021

La profezia degli ultimi

Settanta anziani, nel libro dei Numeri, vengono convocati per ricevere lo Spirito. Che però raggiunge due disobbedienti: devono essere tacitati?

Il capitolo 11 del libro dei Numeri presenta un singolare episodio di profezia. Durante il cammino nel deserto, verso la terra promessa, il Signore chiede a Mosè di radunare presso la «tenda del convegno» (Numeri 11,16) settanta anziani di Israele: a loro Dio donerà una parte dello spirito di Mosè.

In obbedienza al comando divino, Mosè raduna gli anziani intorno alla tenda del convegno. La tenda del convegno è il luogo della dimora di Dio (Esodo 40,34-35) e dell’incontro con lui. È lo spazio deputato a custodire le cose sante, tra cui l’arca dell’alleanza, segno anch’essa della presenza divina in mezzo al suo popolo.

I settanta anziani vengono dunque radunati nel luogo più santo di tutto l’accampamento di Israele, vicini al cuore della comunità abitato da Dio, che non tarda a manifestarsi. Avvolto dal mistero, in una nube, Dio effonde lo spirito sui settanta uomini. «Non appena lo spirito si fu posato su di loro, profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito» (Numeri 11,25).

Iniziativa spiazzante
La profezia, per quanto momentanea, è il segno inequivocabile che questi uomini sono scelti da Dio, investiti di una missione, partecipi del carisma di Mosè, il più grande dei profeti. Ma l’imprevisto è in agguato. Il racconto prosegue tra le tende dell’accampamento, dove sono due uomini, Eldad e Medad: «E lo spirito si posò su di loro» (Numeri 11,26).

È una manifestazione inattesa e dislocata dello spirito: dalla tenda del convegno, luogo della presenza divina, si passa alle dimore abitate da donne e uomini. Lo spirito giunge fin qui per posarsi su Eldad e Medad.

L’iniziativa dello spirito, che improvvisamente si allontana dai luoghi consueti, è spiazzante. Lo spirito supera le collocazioni spaziali, che determinano chi è vicino a Dio o chi è lontano, chi può ricevere il dono dello spirito e chi no. Lo spirito raggiunge chi vuole, dovunque si trovi; è uno spirito che raggiunge le periferie spostandosi dal centro, laddove un luogo costruito sembra quasi confinarne la presenza.

Eldad e Medad non hanno obbedito alle disposizioni
di Mosè, provenienti da Dio stesso. Ma lo spirito agisce
quasi incurante delle sue azioni. E dei suoi effetti

Ma il testo ci conduce oltre: si precisa, infatti, che Eldad e Medad «erano tra gli iscritti, ma non erano usciti verso la tenda». Eppure «essi cominciarono a profetizzare nell’accampamento» (Numeri 11,26). I due uomini sono stati convocati, iscritti tra i settanta, ma non hanno obbedito al comando di Dio, trasmesso da Mosè. Per motivi sconosciuti, rimangono là dove sono, invece di “uscire” verso la dimora di Dio. Lo spirito li raggiunge ed essi profetizzano, proprio là dove si trovano, nell’accampamento.

Forse questo è il paradosso più grande: Eldad e Medad non hanno obbedito alle disposizioni di Mosè, provenienti da Dio stesso, che imponevano di recarsi alla tenda del convegno; non sono usciti, come comandato. Ma lo spirito va a posarsi anche su chi non ha obbedito, quasi incurante della sua posizione e delle sue azioni. E l’arrivo dello spirito produce i suoi effetti, rendendo profeta chi è dislocato, chi non segue gli altri, né si allinea alle disposizioni date da Dio stesso, trovandosi così ai margini della comunità.

Leadership in discussione
Proprio coloro che, secondo una certa logica, avrebbero dovuto essere sanzionati e ripresi per la loro disobbedienza, diventano profeti. Lo scandalo è condensato nella corsa zelante di un giovane anonimo che si precipita ad avvisare Mosè, e soprattutto dallo sdegno di Giosuè, l’uomo fedele, il «servitore di Mosè fin dall’adolescenza» (Numeri 11,28), che – di fronte all’inaudito – implora: «Mio signore, Mosè, falli smettere!». La profezia che sale dai margini di una comunità, pronunciata da chi opera scelte diverse o persino contrarie rispetto a quanto stabilito, va fatta cessare.

Il motivo è deducibile in parte dalla risposta di Mosè: «Sei tu geloso per me?», (Numeri 11,29). Se anche chi non si allinea a Mosè può profetizzare, si rischia di mettere in discussione la leadership di Mosè, indebolendone l’autorità. E invece proprio Mosè si augura: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito» (Numeri 11,29).

Il desiderio di Mosè diventa promessa nel libro di Gioele, dove Dio stesso annuncia: «Effonderò il mio spirito sopra ogni carne, i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri anziani faranno sogni e i vostri giovani avranno visioni; anche sugli schiavi e sulle schiave effonderò il mio spirito» (Gioele 3,1-2).

Questa è la promessa Dio, che troppo spesso pare lontana. Confinare la promessa nell’escatologia, collocandola in un non precisato futuro, è comodo perché nel presente consente di derubricare a follia la profezia degli ultimi, di chi non corrisponde alle direttive, di donne e uomini senza nome, di schiavi e schiave. Il kairos in cui chiunque, dovunque si trovi, è profeta non è domani, ma è oggi. A noi resta la fatica del discernimento sulla profezia. Che chiede però di accogliere la libertà dello spirito di manifestarsi e parlare dislocato, altrove, lontano dai nostri schemi.

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