24 Giugno 2025

Due uomini, due storie del nostro tempo

Papa Paolo VI e don Giovanni Nervo, motori di una delle innovazioni post-conciliari più feconde: la Caritas

Una copertina del mensile cartaceo “Italia Caritas” del novembre 2011 in occasione dei 40 anni dell’ente. Ritrae papa Paolo VI e mons. Giovanni Nervo nel 1974 durante uno dei primi incontri delle Caritas diocesane

«È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia all’elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica sia al governo della cosa pubblica. Si ricordino perciò tutti i cittadini del diritto, e anche del dovere, di usare del libero voto per la promozione del bene comune. […] Bisogna curare assiduamente la educazione civica e politica, oggi particolarmente necessaria, sia per l’insieme del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano svolgere il loro ruolo nella vita della comunità politica». (“Gaudium et Spes”, 75)

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». (Art.3 della Costituzione italiana). Alla stesura dell’art. 3 contribuirono Dossetti, La Pira, Moro, cattolici; Lelio Basso, Massimo Severo Giannini, di cultura laica e socialista; quest’ultimo inventore della a locuzione “democrazia sostanziale”.

Le idee e il loro sviluppo sono come il seme che per germogliare e crescere ha bisogno di un terreno fertile, di un tempo più o meno lungo e di persone che se ne prendono cura. Dentro processi di maturazione che il più delle volte non hanno un andamento lineare, sono faticosi e che richiedono senso della storia, pazienza e determinazione. Vale per le persone così come per le realtà gruppali. Si tratta di mettere in relazione accadimenti di epoche diverse, accedere attraverso lo studio e la ricerca a connessioni magari mai pensate a verificare come eventi diversi si sono reciprocamente fecondati.

Abbiamo richiamato nei due box alcuni passaggi di uno dei documenti più conosciuti del Concilio Vaticano II e l’art. 3 della Costituzione Italiana. Ovviamente nessun tentativo di uno studio comparato ma solo l’intento di fornire alcuni spunti di come diversi accadimenti in epoche diverse, in contesti diversi abbiano potuto costituire significative fonti d’ispirazione per uomini che hanno impegnato le proprie energie e il proprio tempo per il bene comune con i loro valori, sensibilità, e le loro scelte. Perché è proprio vero: le idee camminano con le gambe degli uomini e lo Spirito (ruah) soffia dove, quando e come vuole.

DON GIOVANNI NERVO, IL FONDATORE

Cosa ha significato per persone come don Giovanni Nervo, nato nel 1918 in provincia di Milano, essere stato profugo durante la Prima guerra mondiale, essere rimasto orfano di padre a causa della guerra, cresciuto in un ambiente povero; vivere l’esperienza della Resistenza da giovane prete, ordinato nel 1941, con il compito di fare da staffetta portando comunicazioni e notizie ai partigiani riuniti sui Colli Alti del Grappa, dove ogni domenica saliva per celebrare la Messa.

Nel 1945 viene nominato assistente provinciale delle Acli; cappellano di fabbrica dal 1950 al 1963 in numerose aziende del Padovano tramite l’Opera Nazionale Assistenza Religiosa e morale agli Operai, fondatore nel 1951 della Scuola superiore di Servizio sociale a Padova, promotore nel 1964 della Fondazione Emanuela Zancan (Centro di studi, ricerca, formazione e sperimentazione nell’ambito dei Servizi sociali e dei Servizi alla persona), ha attraversato quasi per intero il cosiddetto “secolo breve” con i suoi drammi e le sue tragedie e nello stesso tempo è stato testimone dei primi passi della Repubblica e delle novità del Concilio Vaticano II.

Nervo è parte di quel gruppo di personalità che hanno avuto il compito di dare vita, nel 1971, insieme ad altri, a una delle invenzioni più creative della chiesa del post-Concilio, la Caritas. Non solo una novità dal punto di vista organizzativo, ma il frutto di una nuova concezione della carità dentro un quadro più ampio di rinnovamento liturgico e catechetico.

Si passa non senza fatiche e difficoltà dalla Pontificia Opera Assistenza, nata nel secondo dopoguerra (erogatore di beni e servizi provenienti dai cattolici americani e indirizzati direttamente al papa sotto forma di aiuti alimentari, soprattutto per le colonie dei bambini, di servizio sociale, di cantieri di lavoro, di sostegno all’azione pastorale delle zone più disagiate), alla Caritas Italiana, strumento di sensibilizzazione, che s’impegna nella promozione umana alla luce delle Scritture bibliche e nell’animazione della comunità cristiana affinché la testimonianza della carità non sia disgiunta dalla giustizia, ricondotta solo a elemosina, né delegata ad alcuni gruppi e figure.

A livello diocesano si passa dalle ODA (Opere diocesane assistenza) alle Caritas diocesane. Uno sguardo oltre il perimetro della comunità ecclesiale perché così suggerisce il Vangelo. Cercando di agire senza la prosopopea di chi sa tutto e guarda il prossimo dall’alto in basso.

Ecco gli uomini che sotto la guida e l’impulso di papa Paolo VI svolsero un ruolo fondamentale: abbiamo detto di don Giovanni Nervo; e poi monsignor Andrea Pangrazio, allora segretario generale della Conferenza episcopale italiana (CEI); monsignor Enrico Bartoletti suo successore; monsignor De Menasce, che aveva fatto parte di un ristretto gruppo di studio per elaborare la proposta di uno statuto da sottoporre alla Segreteria di Stato e alla Presidenza della CEI per l’approvazione; don Italo Calabrò, don Piero Tubino, solo per citarne alcuni.

Il 2 luglio 1971 viene emanato il decreto di costituzione della Caritas Italiana, a firma del Cardinal Poma.

DECRETO DI EREZIONE DELLA CARITAS ITALIANA | La Conferenza Episcopale Italiana in ossequio al precetto divino della carità verso Dio e verso gli uomini come massimo e primo comandamento del Cristianesimo, avendo ben presenti le direttive conciliari ed il coerente magistero Pontificio, memore di un passato della Chiesa in Italia, sempre ricca di iniziative verso gli umili e i provati dalla sventura, ritiene necessaria la costituzione di una speciale organizzazione da chiamarsi «Caritas Italiana» per promuovere e coordinare le attività caritative in Italia. Col presente decreto pertanto la Conferenza Episcopale Italiana intende erigere, ed erige di fatto la « Caritas Italiana » quale organo ecclesiale, la cui natura, le strutture centrali e periferiche e gli organi direttivi sono stabiliti nello Statuto allegato. F.to Antonio Card. Poma, Presidente | Roma, 2 luglio 1971

Nel mese di settembre 1972 è stato organizzato il primo convegno nazionale delle Caritas diocesane, in cui papa Paolo VI pronuncia un importante discorso che segna il cammino del neonato organismo. Alcuni punti fondamentali:

  • la carità è sempre necessaria come stimolo e completamento della giustizia;
  • la dimensione comunitaria della carità;
  • la prevalente funzione pedagogica;
  • la necessità di qualificare le persone attraverso lo studio, la ricerca, la formazione;
  • lo stimolo costante alle Istituzioni a livello legislativo.

Nessuna supplenza, nessuna sostituzione, insieme alla necessità di avere uno sguardo ampio oltre i confini nazionali.

Discorso di papa Paolo VI ai presidenti delle Caritas diocesane | Primo Convegno nazionale, 26-28 settembre 1972.

Alla luce di tali brevi sottolineature è interessante riportare quanto della biografia e della personalità di questo papa influiscono sul percorso che Caritas Italiana fa fin dalla sua nascita.

PAOLO VI, IL PAPA CHE HA VOLUTO LA CARITAS

Giovanni Battista Montini nacque a Concesio, un piccolo paese del Bresciano, il 26 settembre 1897. Di famiglia cattolica molto impegnata sul piano politico e sociale. Nell’autunno del 1916 entra nel seminario di Brescia e quattro anni dopo, il 29 maggio 1920, riceve in cattedrale l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Giacinto Gaggia. Dopo l’estate si trasferisce a Roma. Nel 1922 si laurea in Diritto canonico e nel 1924 in Diritto civile. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede, per alcuni mesi del 1923 lavora come addetto alla nunziatura apostolica di Varsavia.

In Segreteria di Stato dal 24 ottobre 1924, in pieno fascismo, in quel periodo partecipò da vicino all’attività degli studenti universitari cattolici organizzati nella FUCI, della quale fu assistente ecclesiastico nazionale dal 1925 al 1933. Nel frattempo, agli inizi del 1930, era stato nominato segretario di Stato il cardinale Eugenio Pacelli, di cui egli divenne progressivamente uno dei più stretti collaboratori, finché nel 1937 fu promosso sostituto della Segreteria di Stato. Ufficio che mantenne anche quando a Pacelli – che fu eletto papa nel 1939 prendendo il nome di Pio XII – successe il cardinale Luigi Maglione, morto nel 1944. Otto anni più tardi, nel 1952, divenne prosegretario di Stato per gli affari ordinari. Fu lui a preparare l’abbozzo dell’estremo ma inutile appello di pace che papa Pacelli lanciò per radio il 24 agosto 1939, alla vigilia del conflitto mondiale: «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra».

Il 1° novembre 1954 arrivò inattesa la nomina ad arcivescovo di Milano, dove fece ingresso il 6 gennaio 1955. Alla guida della Chiesa ambrosiana si impegnò a fondo sul piano pastorale, dedicando una speciale attenzione ai problemi del mondo del lavoro, dell’immigrazione e delle periferie. Dal 5 al 24 novembre 1957 tenne una capillare “Missione per Milano”, sottoscrivendo nell’occasione un significativo invito rivolto «ai fratelli lontani».

Primo cardinale a ricevere la porpora da Giovanni XXIII, il 15 dicembre 1958, partecipò al Concilio Vaticano II, dove sostenne apertamente la linea riformatrice. Morto Roncalli, il 21 giugno 1963 fu eletto papa e scelse il nome di Paolo, con un chiaro riferimento all’apostolo evangelizzatore.

Nei primi atti del pontificato volle sottolineare in ogni modo la continuità con il predecessore, in particolare con la decisione di riprendere il Vaticano II, che si riaprì il 29 settembre 1963. Condusse i lavori conciliari con attente mediazioni, favorendo e moderando la maggioranza riformatrice, fino alla conclusione avvenuta l’8 dicembre 1965 e preceduta dalla reciproca revoca delle scomuniche intercorse nel 1054 tra Roma e Costantinopoli.

Inizia una profonda azione di modifica delle strutture del governo centrale della Chiesa, creando nuovi organismi per il dialogo con i non cristiani e i non credenti, istituendo il Sinodo dei vescovi — che durante il suo pontificato tenne quattro assemblee ordinarie e una straordinaria tra il 1967 e il 1977.

La sua volontà di dialogo all’interno della Chiesa con le diverse confessioni e religioni e con il mondo, fu al centro della prima enciclica “Ecclesiam suam” del 1964, seguita da altre sei: tra queste sono da ricordare la “Populorum progressio” del 1967 sullo sviluppo dei popoli e la “Humanae vitae” del 1968, dedicata alla questione dei metodi per il controllo delle nascite, che suscitò numerose polemiche anche in molti ambienti cattolici. Altri documenti significativi del pontificato sono la lettera apostolica “Octogesima adveniens” del 1971 per il pluralismo dell’impegno politico e sociale dei cattolici, e l’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” del 1975 sull’evangelizzazione del mondo contemporaneo.

Un credente, papa Paolo VI, in perenne ascolto e in dialogo del mondo contemporaneo, attento alla cultura dei doveri e dei diritti che trovava una spinta anche in culture altre rispetto a quella cattolica, come la cultura socialista, che di fatto diede un contributo significativo alla frantumazione dell’assistenzialismo.

La copertina di un Quaderno Caritas del 1972

Più volte interviene sull’importanza e sul ruolo della politica da lui definita come «la più alta forma di carità»; del dialogo tra diversi come un’opportunità e una risorsa.

Un uomo, Montini, che vive intensamente e con grande acume politico e organizzativo la tragica vicenda del fascismo, della guerra e del dopoguerra. Profondamente convinto del ruolo della cultura e della politica dentro la città dell’uomo, e che il Vangelo aggiunge e non toglie nulla alla promozione dell’umano.

Senza voler scivolare nell’idealizzazione né nel ridurre tutto al protagonismo di due persone, è innegabile che due figure come papa Paolo VI e don Giovanni Nervo siano stati “il motore” di una delle innovazioni post-conciliari più feconde.