29 Gennaio 2024

La musica che nasce dal mare

Intervista a Enrico Allorto, maestro liutaio. Nel laboratorio del carcere di Opera costruisce strumenti con il legno delle barche dei migranti

Anche lui in qualche modo sarà sul palco del Teatro alla Scala la sera di lunedì 12 febbraio, quando i suoi, i loro strumenti saranno suonati dalle abili mani dei violoncellisti Giovanni Sollima e Mario Brunello, dal violinista Gilles Apap e dagli orchestrali dell’Accademia dell’Annunciata diretta da Riccardo Doni. A fare da contrappunto, un racconto inedito scritto e letto da Paolo Rumiz. E sono proprio questi strumenti che danno il titolo alla serata: “L’Orchestra del mare”, promossa dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti. Tredici oggetti di puro artigianato tra viole, violini, violoncelli e un contrabbasso (un violino in fase di ultimazione debutterà proprio quella sera) che Enrico Allorto, maestro liutaio, costruisce insieme ad alcune persone detenute nel laboratorio del carcere milanese di Opera. Che producono note e disegnano onde. Perché il legno di cui questi strumenti sono fatti proviene dalle barche naufragate o sequestrate che trasportano i migranti in cerca di una vita più dignitosa.

Allorto, lei assisterà alla serata dalla platea, ma un pezzo importante della sua vita sarà anche sul palco.
«Eh sì. E sarà un momento emozionante perché quegli strumenti rappresentano il risultato di due anni di lavoro. Quasi il coronamento di tutta questa attività. Il Teatro alla Scala è molto importante per cui sarà un’emozione grande. E poi il concerto è a scopo benefico e darà un sostegno anche alle nostre attività».

Chi è Enrico Allorto?
«Un liutaio felice. Costruisco strumenti musicali a corda e trovo che la musica sia qualcosa di magico, che quasi non si può spiegare. Solo vivere. È un’arte completamente astratta, però, chissà perché, quando senti certe musiche ti viene da piangere. Altre volte ti viene da ridere. Parla all’inconscio. Ci sono persone più sensibili di altre e ascoltando la musica sentono quasi un richiamo. Ho iniziato da ragazzo: suonavo la chitarra e mi piaceva anche lavorare con le mani, allora mi sono avvicinato all’arte della liuteria. Che non ho più lasciato».

Però non per tutti la passione della musica si estende ai materiali, alla costruzione di strumenti.
«Un tempo non c’era la distinzione tra liutaio e musicista, nel senso che il musicista costruiva il suo flauto, il suo strumento musicale. È evidente che alcuni musicisti erano più bravi a costruire e altri più bravi a suonare. Gli strumenti sono diventati sempre più complicati e dunque i due lavori si sono separati. Ma restano strettamente legati. I risultati migliori si ottengono quando dei bravi musicisti collaborano con dei bravi costruttori e ci si stimola a vicenda».

Da dove nasce l’attivazione del laboratorio di liuteria nel carcere di Opera?
«Tutto ebbe inizio con la croce costruita con i legni delle barche dei migranti, la Croce di Lampedusa, che è stata portata in giro per l’Europa. Era il 2013. Nello stesso anno fu avviato il laboratorio di liuteria in carcere. Questa attività ci dice che è possibile trasformare gli scarti in cose utili».

Non si buttano le cose, figuriamoci le persone.
«Ho sempre pensato che Gesù sia portatore di un messaggio bello e fortissimo. Non ho un gran rapporto con la Chiesa, però quando si è presentata l’occasione di andare tutti dal Papa, ho voluto andarci… preparato. Ho iniziato a leggere, informarmi. Ho letto qualcosa delle sue encicliche e vi ho ritrovato tante cose che condivido pienamente. Il Papa semplicemente afferma quello che c’è scritto nel Vangelo».

Allorto, lei ha un laboratorio di liuteria a Biella, ma ormai quella in carcere è la sua principale attività.
«Sono fisso nel laboratorio del carcere di Opera dal 2018. Oltre all’amore per la musica ho anche da sempre una sensibilità per le questioni sociali. Dico una cosa che può sembrare paradossale: a volte la società “libera” mi sta stretta, mentre il carcere mi regala uno spazio di libertà. Quello che faccio rappresenta per me anche una forma di protesta alle ingiustizie che ci sono nel mondo, alla mancanza di inclusione. Se uno non sgomita per farsi strada alla fine resta sempre tagliato fuori. In carcere si entra in contatto con la sofferenza, perché è fondamentalmente un luogo di sofferenza. Fuori non frega niente a nessuno del carcere. Mentre questa istituzione è parte della società. Se una società è libera, aperta, il carcere sarà un luogo più tranquillo. Invece qui il carcere è veramente una roba brutta, perché le persone poi quando escono restano comunque escluse, non trovano spazio, delinquono di nuovo e quindi ritornano dentro».

Prima della liuteria nel carcere la sua sensibilità la esprimeva in una banda musicale. Sposavate delle cause come quella dell’ambiente, sostenevate operai licenziati. Da muoversi per a muoversi con. Un bel salto.
«Che ti porta a voler gridare al mondo che anche i carcerati sono delle persone, non sono solo lo sbaglio che hanno commesso. Hanno una vitalità, delle emozioni. Magari il carcere è necessario, ma deve saper gestire le persone. Non possono essere messe dentro e dimenticate lì. Il carcere è un luogo limite, dove tutto è estremo».

Costruire strumenti con le barche naufragate (prima) e sequestrate (ora) dei migranti è stato un salto nel buio o lei aveva già sperimentato la resa del legno lavorato dopo che questo è stato sottoposto a pesanti sollecitazioni come quelle dell’acqua? Insomma, costruite strumenti con del legno fradicio che mettete in mano ai migliori musicisti!
«È stato un salto nel buio. Un giorno mi sono messo in testa di provare a costruire un violino da uno dei barconi naufragati. Ho cercato di mantenere il più possibile la struttura del violino, ho tolto tutto quello che non serve, abbellimenti come il ricciolo, i filetti. Ho trovato un sistema per ottenere le bombature tagliando il legno. E mi sono accorto che lo strumento suonava perfettamente. Questo esperimento ha avuto un successo inaspettato. Ribattezzato “violino del mare”, ha comunicato attraverso la musica i valori dell’accoglienza e dell’integrazione. E ovviamente è diventato un segno di speranza. Nel febbraio di due anni fa Carlo Maria Parazzoli, primo violino dell’Orchestra Nazionale dell’Accademia di Santa Cecilia, lo ha suonato davanti a papa Francesco proponendo una composizione scritta appositamente da Nicola Piovani. Da lì il violino è stato suonato in Italia e all’estero da diversi musicisti. E anche il nostro laboratorio è partito da lì. L’Orchestra del Mare non ha un organico stabile, praticamente i 12 (quasi 13) strumenti vengono dati in prestito di volta in volta».

Finora abbiamo parlato di laboratorio di liuteria, ma la dizione completa è laboratorio di liuteria e falegnameria del carcere di Opera. Le due attività procedono insieme?
«Dopo che questo violino è stato presentato dal Papa siamo riusciti a far arrivare le barche al carcere di Opera. A quel punto c’era tanto materiale. Non tutti hanno la sensibilità di costruire uno strumento musicale. Si tratta di un lavoro di enorme pazienza, può risultare noioso. Ci siamo divisi in due gruppi: due persone si occupano degli strumenti e due della falegnameria. Svolgono un lavoro complesso: smontano le barche, preparano i pezzi, li tagliano. Questi pezzi non servono solo per gli strumenti, ma anche per fare croci, oggetti sacri in altri istituti penitenziari. Il carcere di Opera fa da punto di distribuzione. Anche a Secondigliano è stato aperto un laboratorio di liuteria».

Il gruppo del laboratorio del carcere di Opera

Il progetto si chiama “Metamorfosi” ed è realizzato da Casa dello Spirito e delle Arti con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Metamorfosi sotto diversi punti di vista: cambia la finalità d’uso del legno, cambiano le persone detenute coinvolte, cambia lo sguardo di chi viene a conoscenza delle vostre attività.
«Assolutamente. E il cambiamento riguarda anche me. Da quando opero in carcere mi sento trasformato. Anzitutto perché il contatto con il dolore degli altri ti mette in discussione. Ci si lamenta di meno. Sono stato in Africa e lì tutti sorridono sempre anche se non hanno niente. Invece qui ci lamentiamo e abbiamo tutto. C’è qualcosa che non torna. Qual è l’obiettivo? Stare bene? Allora cos’è che ti fa stare bene? Credo che faccia stare più bene l’amicizia che non avere una casa al mare. Se uno è circondato da amici non ha bisogno di andare in giro con la pistola in tasca. Sì, il progetto cambia. Così una cosa brutta può diventare bella. Addirittura una cosa da buttare diventa bella. E attraverso la musica questo messaggio arriva direttamente al cuore senza neanche passare dalla testa».