01 Ottobre 2025

“Non più gli uni contro gli altri”

60 anni dopo il grido di pace di Paolo VI all'ONU

Giovanni XXII e Paolo VI, due grandi personalità del Novecento. Entrambi dentro le contraddizioni e le tragedie del cosiddetto “secolo breve”: la Prima Guerra mondiale, l’avvento del Fascismo, la Seconda Guerra mondiale, la Guerra fredda.  

L’uno Giovanni XXIII che tra lo stupore generale – anche dei più fidati collaboratori – annuncia il 2 febbraio del 1962, nella basilica di San Paolo fuori le Mura,  la data di inizio del Concilio Vaticano II: l’11 ottobre dell’anno 1962; l’altro, Paolo VI, che alla morte del suo predecessore, ne assume la guida. 

Due pastori capaci di una lettura attenta degli eventi e delle dinamiche culturali e storico-sociali dentro e fuori la comunità ecclesiale, entrambi accomunati dalla convinzione della necessita di rinnovare la vita della Chiesa in dialogo con il mondo.

In questa prospettiva possiamo collocare un evento straordinario di cui tra qualche giorno il 4 ottobre, ricorre il 60° anniversario: la prima volta di un discorso di un papa alle Nazioni Unite

Presidente dell’Assemblea, l’on Amintore Fanfani, politico italiano di lungo corso, sei volte Presidente del Consiglio, cinque volte Presidente del Senato, più volte ministro;  Segretario generale il birmano U Thant, il primo di origine non europea, nominato a  seguito alla tragica morte del suo predecessore, Dag Hammarskjöld, in un incidente aereo. Thant era un diplomatico di grande esperienza, protagonista dei negoziati tra John F. Kennedy e Nikita Khrushchev durante la crisi missilistica cubana (1962).

Particolare interessante: nel momento in cui Paolo VI parla alle Nazioni Unite è ancora in corso il Concilio Vaticano II.

Dopo i saluti di rito, straordinario l’incipit del discorso:

Questo incontro, voi tutti lo comprendete, segna un momento semplice e grande. Semplice, perché voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di Stati sovrani, uno dei più piccoli, rivestito lui pure, se così vi piace considerarci, d’una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale, quanta gli basta per essere libero di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con lui, che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo. Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi servire in ciò che a Noi è dato di fare, con disinteresse, con umiltà e amore”. 

In poco meno di dieci righe un esempio di intreccio fecondo tra umiltà, ecclesiologia di comunione e…raffinata politica estera.

Un autentico ribaltamento del modo in cui la Chiesa si pone nella relazione con il mondo: non la Chiesa del potere temporale, ma una Chiesa che fa del servizio all’uomo nel nome dei Vangeli, la sua missione.

Quante sofferenze, quanto impegno e quanta elaborazione teologica sono stati necessari per arrivare a pronunciare parole come queste che erano, tra l’altro una conferma dell’impostazione data da Giovanni XXIII al suo pontificato.

In sintesi, due papi, una linea comune, prendendo sapientemente il meglio dei predecessori.