14 Dicembre 2021

Abed al confine della vergogna

Siriano, a 50 anni ha lasciato il paese. Bloccato in Turchia, come molti è stato attirato in Bielorussia. Dove è iniziato un amaro ping pong…


Quando Abed decide di prendere un volo verso Minsk, la capitale della Bielorussia, non è la prima volta che tenta di lasciare la Turchia. Non gli importa di allontanarsi ancora di più dal sua paese di origine, la Siria, dilaniata da oltre un decennio di guerra.

D’altronde, alla soglia dei 50 anni aveva preso una decisione destinata a cambiare il corso della sua vita: si era trasferito in Turchia, determinato ad attraversare a piedi il confine con “l’Europa che conta” nella regione dell’Evros, in Grecia.

Il suo obiettivo finale era chiaro sin dall’inizio: raggiungere la sorella in Germania, dove si è stabilita dopo essere fuggita dalla Siria 8 anni fa e dove lavora come medico. Abed sapeva che si tratta di un viaggio pericoloso: se catturato, poteva essere violentemente rimandato in Turchia dalla guardia costiera greca, oppure poteva rischiare di rimanere bloccato nei campi profughi dei Balcani per mesi, o addirittura per anni, se non avesse potuto pagare i trafficanti.

Così, trova un lavoro come cuoco in Turchia, dove la Caritas è impegnata con diverse iniziative a sostegno dei migranti. È in Turchia pensa alla Grecia, e gli servono soldi per il viaggio, per intraprendere quel percorso lungo i Balcani pieno di ostacoli e rischi. Tuttavia, quando sente parlare della nuova rotta per raggiungere l’Europa passando per la Bielorussia, Abed decide di cambiare i propri piani. Per ottenere il visto deve rivolgersi a un contrabbandiere, e pagare parecchi soldi. Quelli guadagnati lavorando come cuoco non gli bastano, quindi ritorna in Siria, e vende la casa.

Con quello che riesce a racimolare si compra il visto. Una volta ottenutolo, Abed si imbarca su un volo da Damasco a Minsk, lasciando la moglie e i tre figli. Ed è così che si ritrova in Bielorussia, con l’immediato obiettivo di passare il confine polacco. Ma è allora che comincia una sorta di ping pong massacrante: «L’esercito polacco ti respinge al confine, l’esercito bielorusso ti rimanda indietro».

Militari polacchi respingono i profughi mediorientali

Così Abed, insieme a migliaia come lui, rimane incastrato in una terra di nessuno, tra i due paesi dell’Europa orientale. Una zona in cui non si può andare né avanti né indietro, e dove l’emergenza umanitaria è enorme. La Polonia ha infatti designato, lungo il confine, una “zona di esclusione” larga 3 chilometri, presidiata da 20 mila poliziotti e agenti di frontiera e vietata alle ong e ai giornalisti. I richiedenti asilo sono intrappolati lì senza cibo, acqua o medicine, esposti, via via che passano i mesi, alla morsa del gelo

Una pagina da scrivere
A Minsk, Abed era stato incoraggiato a tentare l’ingresso in Polonia dopo aver incontrato i contrabbandieri e quelli che sarebbero diventati i suoi compagni di viaggio. Erano quindi partiti a piedi, verso la Polonia, cercando più volte di attraversare il confine. «La prima volta è stato un disastro perché c’erano bambini, donne, anziani – rievoca –. Non sapevamo della recinzione e dei sensori, e quando ce li siamo trovati di fronte non abbiamo saputo attraversarli. Siamo stati in viaggio per due giorni e abbiamo finito l’acqua e il cibo. Abbiamo così deciso di tornare a Minsk».

Ma Abed non è tipo da rinunciare facilmente. Ci ha riprovato invano per altre due volte: la prima è riuscito a passare il confine, ma la polizia polacca lo ha rimandato indietro; la seconda, dopo aver scavato sotto le recinzioni insieme ai suoi compagni di viaggio per evitare i sensori, è stata la polizia bielorussa ad arrestarli. Ma la terza, finalmente, è stata la volta buona.

Per farcela, c’è voluto l’aiuto degli ennesimi contrabbandieri, che sembravano appartenere all’esercito bielorusso, o quantomeno avere connessioni con esso. Lo portano al confine, e poi gli indiano dove passare. Attraversata la recinzione polacca, Abed con il suo gruppo ha camminato per altri sette giorni nella fitta foresta polacca, dove poi i migranti sono stati prelevati da un altro contrabbandiere, e portati a destinazione.

Bivacco dei migranti lungo i reticolati di confine polacchi

Il cammino non è stato uno scherzo, una passerella sul velluto. Un membro del gruppo di Abed ha perso parte del piede a causa della cancrena. Un ragazzo siriano di 19 anni è morto durante l’attraversamento di un fiume. Abed, nome di fantasia per proteggerne l’anonimato, è però arrivato a destinazione. Pensava di lasciarsi dietro le spalle, nell’amata Siria, il peggio dell’umanità. Si è trovato di fronte barriere e ostacoli che l’hanno ferito. E manipolazioni, da parte dei potenti, che l’hanno amareggiato.

Ora c’è una pagina intera da scrivere. Sperando che l’Europa, al di qua dei muri della vergogna, si ricordi di essere una terra che pone la dignità di ogni uomo al di sopra di ogni altro interesse.

Ulteriore crudeltà
La storia di Abed è una delle migliaia che, con diversi tratti comuni, hanno condotto altrettanti uomini e donne su un confine insolito, rispetto a quelli che avevamo tristemente imparato a conoscere parlando di migrazioni e rotte orientali: la frontiera tra Bielorussia e Polonia. Le fotografie e video di migliaia di persone, bloccate in condizioni disperate nel tentativo di attraversare quel confine con l’Unione europea, nelle scorse settimane hanno fatto il giro del mondo, rievocando immagini già più volte viste, ciclicamente. L’ultima volta a Lipa, tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia, un inverno fa. La prima, indubbiamente la più clamorosa, tra Grecia e Macedonia del Nord, a Idomeni, 5 anni fa. Anche quella volta, nel 2016, si chiusero i cancelli, e le conseguenze dal punto di vista umanitario furono gravi.

Dopo l’esodo di massa dei profughi siriani, un lustro fa, l’Unione europea guidata dalla Germania pensò di risolvere la crisi determinata dagli ingenti flussi migratori in arrivo dal Medio Oriente, stipulando un accordo miliardario con la Turchia e delegando a lei il compito di occuparsi dei migranti. Ma se l’Ue aveva pensato di aver arginato il problema, in realtà le persone hanno continuato a migrare, mentre la Turchia ha usato come arma di ricatto geopolitico proprio i migranti, minacciando di aprire le frontiere, e di riversare sulla Grecia milioni di persone, ogni qual volta la tensione con l’Ue aumentava.

Una crepa, ora qua ora là, si è aperta ciclicamente
nel fortino che sta diventando l’Ue. Quest’anno è toccato
alla Polonia, fino a oggi solo sfiorata dai flussi migratori

Nel frattempo, dove i confini erano terrestri, si sono eretti altri muri. Come se i muri potessero contenere la forza di quell’onda umana, il desiderio di riscatto e di futuro di quelle masse. E così una crepa, ora qua ora là, si è aperta ciclicamente nel fortino che sta diventando l’Unione europea. Quest’anno – come detto – è stato il turno della Polonia, paese fino a oggi solo sfiorato dai flussi migratori, in pieno risorgimento “nazionale”, che si sente minacciato dalla Russia e che porta dentro l’Ue le posizioni più radicali rispetto all’accoglienza dei migranti. A ottobre, il parlamento polacco ha adottato un controverso emendamento alla sua legge in materia, che consente alle autorità di respingere le domande di asilo. La mossa è stata criticata dalla commissione e dal parlamento europeo, oltre che dalle agenzie umanitarie, per aver minato il diritto di asilo. E anche a causa di questo precedente la vicenda ha assunto dimensioni di ulteriore crudeltà, aggiungendo al dramma umano l’elemento geopolitico.

Vendetta geopolitica, procedure facilitate
Dunque, da ottobre migliaia di migranti cercano l’ingresso nell’Ue attraverso varchi nel confine tra Polonia e Bielorussia. L’Ue ha accusato quest’ultimo paese di aver organizzato o quanto meno facilitato lo spostamento dei migranti, il tutto con l’ausilio di Mosca e la complicità di Ankara, proprio per mettere in imbarazzo la Polonia, e di conseguenza svelare l’ipocrisia dell’Ue. In effetti, la contraddizione appare evidente, tra quanto viene dichiarato circa il rispetto dei diritti umani e quanto le politiche reali dimostrano.

Medio Oriente – Bielorussia: i voli usati dai migranti
I principali gruppi di migranti, per nazionalità, che hanno varcato i confini dei paesi orientali dell’Ue tra gennaio e ottobre 2021

Con l’appoggio della Russia di Putin, la Bielorussia sembra essersi voluta prendere una rivincita nei confronti dell’Ue, che non ha riconosciuto la vittoria del presidente Alexander Lukashenko (in carica dalla caduta dell’Urss, dal 1994) alle elezioni presidenziali dell’agosto 2020 e le ha definite «né libere né eque». Le tensioni sono arrivate al culmine a giugno, quando l’Ue ha imposto sanzioni alla Bielorussia dopo che Lukashenko ha dirottato un volo Ryanair per arrestare un giornalista. Sembra dunque che questa sorta di vendetta geopolitica si sia giocata ancora una volta sulla pelle di persone vulnerabili e indifese: i migranti appunto.


È provato infatti che la Bielorussia abbia attratto migliaia di migranti e rilasciato visti di ingresso con procedure facilitate, con la promessa che dal suo territorio in poi sarebbe stato facile raggiungere l’Europa. Le compagnie aeree hanno poi semplificato ulteriormente il compito, intensificando voli diretti a Minsk da Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, da Erbil in Iraq, da Damasco in Siria, da Beirut in Libano e da Istanbul in Turchia. Nel mirino è finita anche la Turkish Airline, anche se poi la compagnia di bandiera turca ha fatto un passo indietro.

In Turchia ci sono oggi 3,7 milioni di profughi, solo contando i siriani. Ai quali si aggiungono, secondo l’Unhcr, altri 300 mila profughi di altre nazionalità, primi fra tutti gli afgani. Proprio dalla Turchia, negli scorsi mesi, sono stati parecchi a partire, spinti dal passaparola secondo cui sarebbe stato possibile entrare nell’Ue per il nuovo percorso, transitando per Bielorussia e Polonia. Gli ultimi dati mostrano che, a ottobre, circa 11.300 migranti, per lo più provenienti da Iraq, Afghanistan e Siria, hanno tentato di entrare nell’Ue attraverso il confine polacco, rispetto ai 150 dello stesso mese dell’anno scorso.

Scappare dalla guerra, morire di freddo
Il tentativo di molti di loro, come sappiamo, a differenza di quanto accaduto ad Abed, è (almeno sinora) fallito. E così centinaia di rifugiati vivono in campi di fortuna lungo la frontiera polacco-bielorussa, nel pieno di un inverno rigido. Già a metà novembre, almeno 11 persone avevano perso la vita a causa dell’esposizione al freddo.

Fonti sul campo e migranti stessi testimoniano che, prima che si accendessero i riflettori sulla situazione, i migranti erano stati organizzati in enormi colonne e addestrati dal regime bielorusso su come rompere le infrastrutture del confine polacco. Sono stati muniti di strumenti come mazze e martelli e incitati a smantellare il confine da soldati bielorussi. Questo è il motivo per cui l’intera Ue si è improvvisamente mobilitata e ha espresso sostegno alla Polonia.

Il freddo, minaccia concreta e terribile per molti profughi che cercano di entrare in Polonia


Nel periodo precedente, il numero di voli da Istanbul a Minsk era cresciuto in modo significativo, da 7 a 28 a settimana già nel mese di luglio. Ciò ha messo in crisi le relazioni tra Ankara e Varsavia. Il governo turco ha dunque fatto un passo indietro. L’Autorità per l’aviazione civile turca ha annunciato il 12 novembre di aver aderito alle richieste della Polonia. Aydin Sezer, esperto di geopolitica e di relazioni Russia-Turchia, ha affermato che la Turchia tenterà di mantenere il delicato equilibrio delle sue relazioni con la Polonia (divenuta di recente il primo membro della Nato e della Ue ad acquistare droni di fabbricazione turca, e impegnata a raggiungere i 10 miliardi di dollari di acquisti nel commercio bilaterale con la Turchia), e contemporaneamente di quelle con Bielorussia e Russia. Equilibri spregiudicati, di cui a pagare il prezzo sono milioni di persone.

L’impegno di Caritas
Sono numerosi i progetti a sostengo dei migranti condotti da Caritas Italiana attraverso le Caritas locali lungo la rotta balcanica. La Turchia è un passaggio obbligato dei flussi che dal Medio ed Estremo Oriente si muovono verso l’Occidente. Le politiche europee e internazionali, volte a contrastare tali flussi, hanno determinato una situazione di stallo per molti migranti, che non riescono a proseguire ma nemmeno a tornare alle proprie case, e rimangono bloccate in Turchia per anni.

La frustrazione porta molti di loro a rischiare la vita, intraprendendo viaggio pericolosi verso l’Europa. Nel 2021 le autorità turche hanno registrato i movimenti di 109.708 migranti irregolari, di cui quasi 8 mila arrestati in mare, mentre disperatamente cercavano di attraversare l’Egeo.

La rotta per la Bielorussia, negli ultimi mesi, a molti
è sembrata la meno rischiosa. La crisi economica che
colpisce la Turchia fornisce ulteriori motivi per partire

La storia di Abed è solo una tra queste migliaia. La rotta per la Bielorussia, negli ultimi mesi, a molti è sembrata la meno rischiosa, per quanto frutto amaro di una macchinazione geopolitica. La crisi economica che sta colpendo la Turchia, tra l’altro, ha ripercussioni dirette proprio sui migranti, i più vulnerabili tra i vulnerabili, e fornisce ulteriori motivi per tentare avventurose partenze.

Caritas Italiana e Caritas Turchia sono impegnate da anni, attraverso i centri di ascolto delle diocesi turche, a fornire assistenza ai rifugiati. Sono migliaia i rifugiati e richiedenti asilo che hanno potuto beneficiare delle attività implementate da Caritas in Turchia, migliorando le loro condizioni economiche e sociali. Un’attenzione particolare viene data all’integrazione dei migranti sui versanti educativo e lavorativo, al fine di promuoverne l’autonomia.

Aggiornato il 15/12/21 alle ore 10:06