Donne libere in una Terra libera
“Free homeland, free women”. Donne libere in Palestina libera. O meglio declinata: non ci potrà mai essere una patria libera se le donne resteranno prigioniere. Del patriarcato radicato nella cultura mediorientale, della violenza di genere, della militarizzazione e della presenza israeliana, di un sistema economico e sociale che le vede studiare e laurearsi in percentuali molto maggiori rispetto agli uomini, per poi scontrarsi con un mondo del lavoro chiuso e respingente. “Free homeland, free women” è stato lo slogan che negli ultimi anni ha unito gli animi di migliaia di donne palestinesi: in Palestina ma anche in quelle nazioni che ospitano la diaspora palestinese.
“Free homeland, free women” è stato lo slogan che negli ultimi anni ha unito gli animi di migliaia di donne palestinesi: in Palestina ma anche in quelle nazioni che ospitano la diaspora palestinese
In un movimento slegato dalle piattaforme politiche tradizionali, apartitico, acefalo e intersezionale perché oltre alla difesa delle donne, pone al centro della sua lotta anche la rivendicazione dei diritti di tutti i gruppi perseguitati e delle minoranze oppresse. È tuttavia importante ribadire che la lotta delle donne palestinesi ha radici antiche di decenni; e anche se ultimamente è emersa sotto forma di movimento politico, è stata e continua a essere supportata dall’azione di molte associazioni e ong locali che amplificano e sostengono nel concreto, la voce di migliaia di donne. A partire soprattutto dall’educazione. Come l’ong Trust of Programs for Early Childhood, Family and Community Education, meglio nota come Trust, nata nel 1984 a Gerusalemme che da oltre 35 anni ha l’obiettivo di migliorare la vita di bambini, giovani donne e madri, costruendo comunità consapevoli: educando quindi le donne, ma anche gli uomini, sul tema fondamentale dell’uguaglianza di genere, dimostrando che la parità è il requisito fondamentale per costruire comunità solide, perché più solidali al loro interno.
Da tempo Trust, supportato da quasi vent’anni da Caritas Italiana, conduce la sua lotta nonviolenta per i diritti del femminile, in un luogo difficile alla vita come il campo profughi di Shuafat, a nord-est di Gerusalemme: una sorta di baraccopoli a cielo aperto, dominata da lamiere e cemento, nata dopo il 1948 per accogliere famiglie palestinesi fuggite da quei territori divenuti parte dello Stato di Israele. Un campo che ad oggi, accoglie oltre 20mila persone, in condizioni igienico-sanitarie molto precarie: l’acqua scarseggia, i servizi fognari sono disastrati e la raccolta dei rifiuti è praticamente inesistente.
Il campo profughi di Shuafat che ad oggi, accoglie oltre 20mila persone, in condizioni igienico-sanitarie molto precarie: l’acqua scarseggia, i servizi fognari sono disastrati e la raccolta dei rifiuti è praticamente inesistente
Ed è in questo contesto che l’azione di Trust riveste un ruolo fondamentale, per evitare che la rabbia dei palestinesi, dovuta alla latitanza politica e all’anarchia infrastrutturale, possa trovare sfogo nella violenza sociale: una violenza che facilmente vede come capro espiatorio le categorie più vulnerabili, soprattutto donne e bambini, vittime incolpevoli. Nel campo di Shuafat, Trust organizza sessioni di sensibilizzazione, per giovani donne palestinesi volte alla crescita della loro autostima, alla fioritura personale ma anche alla consapevolezza del diritto all’istruzione, base di una dignità che rende libere. Una volta formate le ragazze di Trust potranno a loro volta diventare tutor di bambini e ragazzi in difficoltà molto spesso costretti dalle loro famiglie, per motivi economici, ad abbandonare gli studi.
Tra le ragazze di Trust c’è Warda, che in arabo significa fiore. Ha 20 anni, 8 fratelli e una grande determinazione che l’ha guidata a proseguire gli studi fino al diploma di grado superiore. Il suo sogno, frequentare l’Università e diventare un’assistente sociale.
Warda in arabo significa fiore. Ha 20 anni, 8 fratelli e una grande determinazione che l’ha guidata a proseguire gli studi fino al diploma di grado superiore. Il suo sogno, frequentare l’Università e diventare un’assistente sociale
“Trust mi ha accompagnato negli anni della formazione scolastica”, racconta Warda “e non mi ha mai lasciata sola. La vita a Shuafat è davvero difficile e ci sono giorni in cui vorresti mollare tutto, in cui nulla ha più senso. A cosa serve studiare se la tua famiglia riesce a malapena a sopravvivere? Ma gli operatori di Trust, e le amiche che frequentano insieme a me i corsimi hanno insegnato a vivere il presente senza perdere di vista il futuro. Ed è anche grazie a loro che sono stata accettata dalla Palestinian University e da ottobre ho già iniziato a seguire le prime lezioni”. Warda ricorda come donne e lotta in Palestina siano strettamente connesse “per esistere abbiamo bisogno di lottare. E non si tratta necessariamente di una lotta armata contro l’occupazione, ma di una lotta per i nostri diritti. Vivendo in uno stato di occupazione militare, spesso li dimentichiamo, o meglio li mettiamo in secondo piano. Trust ci aiuta a fare memoria di chi siamo. Mettersi in cerchio con altre donne, parlare, discutere, fa sì che possiamo guardarci negli occhi. E riconoscerci. Se guardi negli occhi di una donna palestinese puoi leggere l’orgoglio di essere palestinese, perché siamo donne forti. E i nostri sono occhi bellissimi”.
Aggiornato il 18/10/22 alle ore 16:12Se guardi negli occhi di una donna palestinese puoi leggere l’orgoglio di essere palestinese, perché siamo donne forti. E i nostri sono occhi bellissimi