Vercelli: Carlo e l’energia plurale

«Vogliamo fare da catalizzatori, perché la comunità ha già tante persone che operano sul territorio. Noi cerchiamo di portare queste energie all'interno di un contenitore per farle convivere e produrre scambi».

«Come un brillante che dividendo la luce esplode in sette colori, rivelando settemila amori…». Il musicista brasiliano Tom Jobim cantava una strofa che torna in mente a chi scrive quando Carlo Greco, 42 anni, vivacissimo direttore di Caritas Eusebiana, su Instagram @educarlogreco, racconta il progetto e la serie di incontri che vanno sotto il nome di “Energia plurale”. Perché se ognuno mette a disposizione le proprie energie a favore della comunità, il risultato è un’unica grande pietra preziosa che manda luce, anzi, tante luci dai diversi colori, per consentire lo sviluppo di una cultura di sostenibilità, di inclusione, di carità. Di valorizzazione delle differenze.

“Energia plurale”: Locandina | Comunicato | Pagina Facebook

Quest’anno “Energia plurale” è alla seconda edizione. Tre incontri, già realizzati nel mese di maggio, su “Buon cibo etico e salute”, “Invecchiamento attivo, in salute”, “La disabilità come opportunità” e una camminata benefica che, contrariamente a quanto indicato nella locandina, si svolgerà il prossimo mese di ottobre. Lo scorso anno ponevate al centro la questione delle comunità energetiche. Quest’anno non ne avete parlato, ma l’energia è rimasta.
«Nel 2024 siamo partiti per portare sul nostro territorio la cultura improntata alle comunità energetiche, in quanto come diocesi ci stiamo muovendo in quella direzione. Abbiamo avuto la necessità di spostare l’Emporio della Solidarietà perché il Comune doveva recuperare i locali che utilizzavamo per quell’opera segno. Allora l’arcivescovo ha visto un capannone con il tetto fatto a risega, come le fabbriche di una volta, esposto a mezzogiorno. Ci ha dunque proposto di allestire lì il nuovo Emporio della Solidarietà, e di pannellare, così da compiere un primo passo nella creazione della nostra prima comunità energetica cittadina, fatta dalla diocesi. Ormai il percorso è avviato. E la comunità quest’anno ci ha chiesto di sviluppare altri filoni».

Come sensibilizzare perché la comunità sia o torni a essere una chiave importante per il nostro futuro?
«A dire il vero la comunità già opera sul territorio attraverso i propri strumenti, chi facendo del volontariato, chi impegnandosi in altre attività rivolte al sociale come la tutela dell’ambiente. Con “Energia plurale” vogliamo fare da catalizzatori, perché la comunità vercellese ha già tante associazioni, appunto, tante persone che si muovono sul territorio. Noi cerchiamo di portare queste energie all’interno del contenitore “Energia plurale” per farle convivere e produrre scambi».

Uno degli incontri aveva per titolo “Disabilità come opportunità”. Un’opportunità per chi?
«Un titolo volutamente provocatorio. Tante volte si riconosce nella disabilità solo una barriera. Noi come Caritas e come Cooperativa Sociale 181, ente promotore di questa iniziativa e nostro braccio operativo in diocesi per quanto riguarda l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, abbiamo cercato di creare del lavoro per ragazze e ragazzi disabili provenienti anzitutto da percorsi di disagio psichico, quindi in collaborazione con il Centro di Salute mentale di Vercelli. Abbiamo visto che tale scelta costituiva un’opportunità per la cooperativa perché questa si è ritrovata della forza lavoro molto motivata. E che lavora bene. La cooperativa ha un laboratorio di pasticceria, servizi di catering e bar e vedere queste persone che si impegnano e svolgono un ottimo lavoro è bellissimo. Ovviamente questa è un’opportunità per ragazze e ragazzi, che adesso hanno raggiunto la loro autonomia, anche economica. Un’autonomia che ha fatto crescere in loro la voglia di stare più in giro, di passare del tempo con i coetanei, di vivere, insomma».

Durante uno degli incontri. Il primo da sinistra è Carlo Greco

Volevo però arrivassi anche a dire che opportunità la disabilità rappresenta per la comunità.
«Tutti andiamo al bar, anche solo a prendere un caffè. Entrare in un luogo che appartiene al quotidiano di tutti, che dà opportunità di lavoro a ragazze e ragazzi con disabilità, significa rendere questa attività abituale, farla rientrare nella normalità. In più ci si rende conto dell’alto potenziale che hanno questi ragazzi. Nel bar ha lavorato un ragazzo autistico che ha avuto un riscontro bellissimo da parte dei clienti. È un ragazzo loquace, che amava stare con i clienti, parlare con loro, soddisfare le loro richieste. E i clienti venivano volentieri anche per scambiare quattro chiacchiere con lui. Abbiamo due locali a Vercelli. Credo sia bello per gli avventori entrarci come si entra in un qualsiasi altro locale, dove tutto procede come in un qualsiasi altro locale che funzioni, ma dove c’è quel valore aggiunto, la specificità dell’inclusione lavorativa. Una bella opportunità per i vercellesi».

Durante l’incontro “Disabilità come opportunità” avete affrontato il tema del recupero dell’Ex 18: da spazio abbandonato a motore di lavoro e inclusione.
«L’Ex 18 è un immobile di proprietà del Comune di Vercelli, situato in una zona della città riqualificata negli ultimi anni, una zona centrale. L’Ex 18 si affaccia su una piazza dove è presente, ad esempio, l’Università del Piemonte Orientale e vicino c’è un viale, anch’esso da poco ristrutturato, che costituisce il primo polmone verde della città. I luoghi vanno vissuti dalla comunità e se questa in certi luoghi non trova nulla, li abbandona. Poi succede che altre persone se ne appropriano, magari con delle intenzioni, diciamo così, tutt’altro che buone. Ecco perché abbiamo partecipato come Caritas a un’idea del Comune di avere l’aggiudicazione di questi locali. Dove come Cooperativa Sociale 181 si vuole sempre continuare sulla linea dell’inclusione di persone con disabilità, ma anche del reinserimento di giovani NEET in percorsi di formazione e lavorativi. L’idea della cooperativa è di ampliare quello che si sta già facendo nella pasticceria, per dare altre opportunità di lavoro e in più allestire delle aule di formazione in pasticceria, caffetteria, … I ragazzi una volta terminato il percorso formativo potranno rimanere lì a lavorare».

Un altro tema trattato durante gli incontri di “Energia plurale” è quello dell’invecchiamento attivo. In che modo possiamo coinvolgere le persone anziane non solo come beneficiari ma anche come risorsa nei nostri progetti di comunità?
«Le persone anziane passano molto tempo in casa a guardare la televisione. Vedono quello che succede nel mondo e anche a qualche chilometro di distanza da loro, magari nel paese vicino. E spesso hanno timore di uscire. Noi invece cerchiamo di far capire, proprio con la rigenerazione degli spazi, che è possibile tornare a vivere determinati luoghi della città, muoversi, camminare, socializzare. E poi cerchiamo di coinvolgerli, di fare delle attività con loro, come quelle in cui le persone anziane raccontano ai più giovani delle storie, magari legate proprio agli spazi della città. Li si rende protagonisti e si dà loro modo di aiutare i giovani a conoscere meglio dove vivono e a preservare i luoghi in cui vivono».

Era in programma a metà giugno, a chiusura della seconda edizione di “Energia plurale” una camminata benefica, già proposta lo scorso anno. È stata rimandata al prossimo ottobre. Benefica perché fa bene o perché fa del bene?
«Entrambe le cose! Anzitutto la camminata è pensata per tutti. Il percorso è stato provato con una persona anziana, un giovane, una famiglia con il passeggino e il cane. Ma fa anche del bene: vi si può partecipare liberamente, senza offrire nulla, oppure fare una donazione alla Caritas che la utilizzerà per delle attività benefiche. Ad esempio il ricavato della camminata dello scorso anno lo abbiamo utilizzato proprio per gli anziani fragili, poveri, che non possono permettersi delle cure riabilitative oltre quelle del Servizio Sanitario Nazionale. Abbiamo quindi legato la camminata, che fa bene alla salute, a un discorso di preservazione della salute».

La camminata benefica dello scorso anno

Carlo Greco, tu sei educatore professionale. Hai alle spalle anni di volontariato e animazione in oratorio. Dall’ottobre 2022 sei direttore della Caritas Eusebiana. Che periodo è stato quello iniziato proprio con la tua nomina a direttore?
«Quasi tre anni bellissimi, perché ho scoperto una comunità viva, che vuole sperimentarsi nella carità, dalle persone anziane alle famiglie, ai giovani, che ho incontrato nelle scuole. C’è tanta voglia di fare carità, e non solo in riferimento alle offerte o al volontariato, ma proprio voglia di relazioni vere, di amore. Di carità, appunto, nel vero senso della parola».

Un’immagine particolarmente cara e una fatica di questi tre anni?
«Be’, un’immagine bella è quella di una signora che abbiamo accolto. Era per strada. Poi ha partorito. Ora vive in uno dei nostri appartamenti, ma presto andrà altrove perché ha rimesso a posto i pezzi della sua vita e ora è tornata a essere parte di una famiglia finalmente riunita. La fatica è quella quotidiana di vivere sapendo che ci sono persone che ancora nel mondo, nel nostro territorio, vivono situazioni di difficoltà. Cerchiamo di fare sempre di più ogni giorno, ma non sempre basta».

Carlo Greco con il vescovo di Vercelli, S.E. Mons. Marco Arnolfo, il giorno della nomina a direttore Caritas, nell’ottobre 2022

Una volta hai detto una cosa bellissima, ovvero che i giovani non devono essere il nostro futuro e basta, ma il presente di tutti, altrimenti le responsabilità gliele daremo solo quando saranno vecchi. Questa – hai continuato – è la scusa peggiore che si possa utilizzare per non lasciare loro lo spazio che meritano. Che contributo stanno dando i giovani a Caritas Eusebiana, quali nuove strade stanno indicando?
«Sono contento che tu mi abbia fatto questa domanda. Ricordo di aver pronunciato quelle parole in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo della Caritas Eusebiana, un po’ di mesi fa, perché proprio in quel periodo, grazie a due ragazzi, siamo riusciti dopo anni a riaprire un Centro di Ascolto in una parrocchia. Loro due e tanti altri giovani che sono con noi ci hanno fatto capire che se vogliamo investire sui ragazzi dobbiamo stare dietro ai loro tempi, progettare con loro. Ci stanno riportando ancora più vicino alle persone, perché non temono il contatto, non hanno tutti quei preconcetti che si sono stratificati nella testa degli adulti. Si relazionano senza alcun tipo di filtro. Il Centro di Ascolto di cui ti parlavo è aperto al pomeriggio, quando i due giovani hanno finito di lavorare. Sono una coppia bellissima, tra l’altro si sono sposati dopo aver iniziato il percorso in Caritas. Sono il presente».

Parliamo di due persone ancora più giovani: le tue figlie, di 10 e 8 anni. Quando a scuola chiedono loro che lavoro fa il papà, cosa rispondono?
«So che dicono che il papà pensa sempre a come far star bene le persone. Non è mai semplice raccontare il nostro lavoro. Dico alcune cose che succedono, poi loro mi vedono anche quando sono a casa la sera, se mi chiamano perché magari c’è una famiglia per strada. Mi chiedono cosa io stia facendo. Rispondo che provo a fare del bene, cerco di fare il possibile perché delle altre persone possano avere un posto dove dormire».

Ci sono progetti che hanno avuto un impatto particolarmente positivo nel rafforzare i legami tra le persone?
«Te ne dico uno che fa parte delle attività di “Energia plurale”, visto che soprattutto di quello abbiamo parlato: la camminata benefica. Ha creato così tanto impatto sul territorio che da quella camminata e dalla raccolta fondi collegata abbiamo organizzato una cena con tanti imprenditori di Vercelli che hanno voluto contribuire. E poi altri riscontri. Insomma, siamo partiti da una camminata e siamo arrivati a coinvolgere una comunità intera».

Questo ci dice che bisogna farsi vedere, rendersi visibili fisicamente, in strada, in piazza?
«Certo che dobbiamo farci vedere! Muoverci, starci. Come si dice: quello che non si vede non si fa. Però, certo, dobbiamo anche farci vedere nel modo giusto. Noi non corriamo, non superiamo, non scavalchiamo. Noi camminiamo. E un passo alla volta cerchiamo di avanzare un po’ ogni giorno. Il Signore ci ha chiesto di essere testimoni, e non possiamo esserlo se ci mettiamo dietro le colonne o dietro le pareti».

Si ringrazia per la collaborazione: Rita Mattiuz

Archivio rubrica “Voci dai territori”

Aggiornato il 19/06/25 alle ore 19:06