22 Marzo 2023

Somalia: fame insaziabile

Martoriata dalla siccità e dalle ferite della guerra

Una camicia a quadri sgualcita, scolorita dai raggi del sole. Il suo nome è Mohamud Hassan ed è un pastore. Si sposta da una regione all’altra, alla ricerca di prati e acqua per il suo bestiame. Un miraggio, questo, tra le terre aride della Somalia, che non incontrano la pioggia da cinque stagioni. La sua meta è la regione di Nugaal, l’unica speranza per salvare la metà del gregge che è sopravvissuto alla terribile siccità.

Abdhirahman è un ragazzo giovane. Lo sguardo acuto e penetrante. Nella sua famiglia erano in sette. Lui era l’unico che poteva andare a scuola. Frequentava una scuola coranica a Mogadiscio, la capitale della Somalia, e il suo maestro era un seguace di Al-Shabaab. Di nascosto, attraverso doni, vestiti e caramelle, il maestro reclutava i bambini, immolandoli alla causa del gruppo jihadista; ma Abdhirahman sognava un futuro diverso.

Muslima è una giovane mamma. Tra le braccia culla teneramente il suo bambino. Lo guarda con speranza e con amore. La speranza di chi crede in un futuro migliore. Per questo Muslima ha lasciato la sua terra, dopo che i suoi vicini hanno seppellito i loro quattro bambini, vittime innocenti della fame. Ogni giorno Muslima per sopravvivere raccoglie le banane, l’unico cibo che trova da mangiare.

Sono loro i volti della Somalia, le voci di un popolo disperato, martoriato dalle piaghe della fame e dalle ferite della guerra. Un popolo violato da trent’anni di instabilità e di conflitti. Una crisi politico-istituzionale che affonda le sue radici nei primi anni Novanta, quando, il generale Siad Barre, primo dittatore nella storia somala, viene esiliato. È allora che ha inizio una sanguinosa guerra civile, che ancora oggi, a distanza di trent’anni, lacera il Paese, lasciandolo a brandelli. La Somalia rimane così uno Stato alla deriva, privo di istituzioni centrali in grado di governare sul territorio e senza una guida. Un mosaico di entità statali, organizzatesi in Stati federali. Di questa federazione non fanno parte la Repubblica del Somaliland e lo Stato del Puntland, due entità autoproclamatosi indipendenti, ma non legittimate dalla comunità internazionale. Questo complesso quadro di entità statali rispecchia la struttura della società somala. Una società divisa, profondamente frammentata in un mosaico di clan in lotta tra loro. Una lotta che affonda le sue radici nella competizione per il controllo politico delle terre somale e per la gestione delle scarse risorse presenti nel Paese.

Nel 2006, in questo quadro di grande instabilità e di lotte intestine, emerge vittoriosa l’Unione delle Corti islamiche. Un gruppo, questo, di matrice islamista, capace di sviluppare una narrativa di giustizia sociale tale da conquistare il sostegno di diversi clan.

Oggi i gruppi di matrice islamista attivi nel Paese sono molti. Protagonista indiscusso è il gruppo di Al-Shabaab, la costola somala di Al-Qaeda, nata dall’unione delle fazioni più radicali delle Corti islamiche. Al-Shabaab oggi è presente soprattutto nel sud della Somalia; è lei l’autrice dei molti attentati terroristici che agitano il Paese. I civili somali sono i primi ostaggi dei loro crimini, insieme alle scuole e agli ospedali, i simboli, questi, della speranza e del cambiamento. Va detto però che questo gruppo gode non di rado dell’appoggio della popolazione sotto il suo controllo, giacché unica entità capace di rispondere ai bisogni che le istituzioni riconosciute non riescono a garantire. Inoltre la lotta ad Al-Shabaab intrapresa dal governo somalo e dagli Stati Uniti è condotta prevalentemente sul piano militare e non è foriera di vittime civili, come denunciato da Amnesty International rispetto ai molti bombardamenti effettuati soprattutto con l’impiego di droni. È in un simile quadro che si innesta la storia di molti bambini, reclutati come soldati e immolati alla causa del terrorismo. Secondo le Nazioni Uniti, nel 2021, più di 1200 ragazzi sono stati rapiti da Al-Shabaab e arruolati nelle loro fila. Violazioni, abusi, stupri accompagnano il reclutamento forzato, cancellando per sempre l’infanzia e il futuro di molti bambini somali.

Questa situazione di insicurezza minaccia la vita di migliaia di persone, costringendole spesso a migrare nei Paesi limitrofi. Kenya, Etiopia, Gibuti e Yemen sono gli Stati che attualmente ospitano il maggior numero di rifugiati somali. Parimenti, centinaia di migliaia sono le persone che hanno dovuto abbandonare le loro case, spostandosi in altre aree del Paese. Conflitti clanici e gruppi di matrice jihadista non sono le uniche cause responsabili dello sfollamento di circa 3,8 milioni di persone. In questo scenario di grande instabilità si innesta infatti anche la piaga della siccità. Un grande flagello, questo, che contribuisce a minare ulteriormente la sicurezza alimentare di un Paese già di per sé estremamente fragile. La Somalia rappresenta oggi uno degli Stati più martoriati dall’irregolarità climatica nel Corno d’Africa. La penuria di precipitazioni prosegue ormai da cinque stagioni. Sono più di 3 milioni i capi di bestiame morti, migliaia di ettari i campi senza più pascoli e raccolti.  6,4 milioni le persone senza accesso a una fonte di acqua. Il cambiamento climatico è uno dei fattori determinanti in questo quadro. Cambiamento, accelerato notevolmente dal disboscamento delle foreste africane a fini carboniferi.

Conflitti clanici e gruppi di matrice jihadista non sono le uniche cause responsabili dello sfollamento di circa 3,8 milioni di persone. In questo scenario di grande instabilità si innesta infatti anche la piaga della siccità. Sono più di 3 milioni i capi di bestiame morti, migliaia di ettari i campi senza più pascoli e raccolti.  6,4 milioni le persone senza accesso a una fonte di acqua.

Il carbone ricavato dalla legna rimane infatti uno dei prodotti più richiesti nel mercato, soprattutto dai Paesi del Golfo. Sebbene le esportazioni siano state vietate già a partire dal 1969, il traffico illegale non si è mai fermato, complice l’instabilità politica e la grande domanda proveniente dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi. A esasperare ulteriormente la crisi alimentare, una delle più gravi degli ultimi decenni, anche l’invasione delle locuste del deserto, la pandemia di Covid19 e lo scoppio della guerra in Ucraina. Fattori, questi, che hanno causato un’impennata dei prezzi, portando la Somalia sul lastrico della fame. La malnutrizione acuta ha raggiunto livelli critici in molte aree della Somalia centrale e meridionale. Secondo le indagini condotte da Caritas Irlanda, l’80% delle famiglie somale soffre la fame. 5 milioni di persone, circa 1/4 della popolazione, vivono in una condizione di insicurezza alimentare acuta; tra queste 300.000 in condizioni di carestia estrema. Una fame insaziabile, che non risparmia neppure i più piccoli. Secondo le stime del Ministero della Salute somalo nel 2022 sono state 43.000 le persone morte a causa della siccità, di cui la metà bambini con meno di 5 anni. Lo stesso studio condotto dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine and Imperial College London prevede che nei prossimi mesi i morti per fame continueranno a crescere sino ad oltre 130 al giorno, se non vi saranno interventi. Una situazione tragica, aggravata ulteriormente dalla disattenzione della comunità internazionale e dal silenzio dei media.

l’80% delle famiglie somale soffre la fame. 5 milioni di persone, circa 1/4 della popolazione, vivono in una condizione di insicurezza alimentare acuta; tra queste 300.000 in condizioni di carestia estrema

Per questo Caritas Italiana ha lanciato la campagna “Africa, fame di giustizia”. Tra i Paesi protagonisti anche la Somalia, insieme a Etiopia, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso, Kenya, Mali e Niger. Un’iniziativa, quella promossa da Caritas, che mira a sostenere le popolazioni più vulnerabili, colpite dalla siccità, ferite dalla fame, violate da conflitti che si consumano nel silenzio. Un impegno ad agire concretamente e a camminare insieme ai fratelli africani verso l’eliminazione di quelle cause strutturali che alimentano le ingiustizie globali. Perché, come diceva Mandela: “Sconfiggere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia”.

Aggiornato il 22/03/23 alle ore 11:28