Microfinanza, potenziale anti-povertà
Sembra un principio connaturato al mondo di finanza e denaro: negli affari, perché funzionino, gli imbarazzi etici sono di troppo. L’economia è sempre stata una branca della filosofia, talvolta della teologia: per secoli, nella storia del pensiero economico, le migliori menti dell’umanità – spesso preoccupate della salvezza delle anime mortali – si sono tormentate sugli invalicabili limiti morali da imporre all’uso del denaro, riflessione fondamentale per la decisione politica. Da tempo tuttavia l’economia si è trasferita, o piuttosto è stata sequestrata: da padrona in casa della filosofia, a prigioniera in casa della matematica. Quando pensiamo a economia ed economisti, ci vengono infatti in mente curve che si incrociano, tecniche di portafoglio, algoritmi, grafici, gesticolanti agenti di borsa… Il denaro e il profitto – e il loro luogo d’elezione, la banca – occupano una dimensione separata, ipertecnica, amorale.
Il motto: «Gli affari sono affari, niente di personale».
Ma in determinate decisioni, e nei loro risvolti sociali,
di personale c’è tutto. Soprattutto, c’è tutto di etico.
È rassicurante sapere che preparati scienziati vegliano su risparmio, imprese e prosperità delle nostre economie. Eppure i conti non tornano: questa scienza esatta non vede arrivare crisi profonde, rischi evidenti, scandali imbarazzanti. Siamo sicuri che ci protegga davvero? Che sia davvero esatta? Persino che sia una scienza? Il motto è noto: «Gli affari sono affari, niente di personale». Ma in determinate decisioni, e nei loro risvolti umani e sociali, di personale c’è tutto. Soprattutto, c’è tutto di etico. La doppia personalità (l’una fredda, armata di calcolatrice; l’altra, preoccupata di costi ambientali e diritti violati, ma spesso incapace di delineare soluzioni tecniche) è figlia di una schizofrenia che andrebbe guarita. Da tempo tentativi sono in atto.
È ricerca di rendimenti
Finanza etica. Non è un ossimoro, ma un concreto modello. Non solo economico, anzitutto sociale. Ha una storia lunga: fin dal Medioevo, Domenicani e Francescani gestivano i Monti di Pietà per prestiti ai più poveri e per la salvaguardia del risparmio, servizi già allora protesi verso i più deboli in società, i non ‘’bancabili’’ esclusi dal mercato.
La finanza etica moderna sta per compiere cent’anni. Progenitore, il Pioneer Fund di Boston del 1928, creato per escludere i finanziamenti per industrie belliche, alcol, gioco, fumo. Un seme destinato a germinare nel secolo seguente, in base a criteri sempre più chiari e articolati.
Per gli attori della finanza etica, gli investimenti sono infatti da selezionarsi sulla base di criteri morali, base della scelta per l’allocazione delle risorse. Se normalmente standard di sicurezza e ambientali e tutele e diritti dei lavoratori sono concepiti come costi, possibilmente da abbattere per aumentare gli utili, alla base della finanza etica c’è invece la convinzione che gli investimenti non etici siano da evitarsi, non solo perché immorali, ma anche perché più rischiosi, volatili e inaffidabili sul medio e lungo periodo.
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Questi principi si estendono lungo tutta la linea del finanziamento. Sin dalle origini: si bada al rifiuto della speculazione, al rispetto dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani a livello mondiale, a promuovere sostenibilità, inclusione e partecipazione, a escludere certi paesi e ambiti, all’uso responsabile e alla chiarezza sull’origine di materie prime e energia, a incentivare tecniche di smaltimento di rifiuti e emissioni, alla lotta alla disuguaglianza, alla salvaguardia della coesione sociale. Tutte queste preoccupazioni entrano poi nella selezione e nella gestione di un investimento. Le cui caratteristiche distintive, diverse da quelle della finanza tradizionale, sono la partecipazione diretta dei soci alle decisioni, la trasparenza delle scelte di investimento, la richiesta di garanzie personali e non patrimoniali (con la valorizzazione delle reti sociali), obiettivi etici dell’investimento (con attenzione al terzo settore), lo sviluppo umano e la responsabilità socio-ambientale.
Un diffuso equivoco è che tutto ciò abbia valenza solo simbolica o testimoniale. La finanza etica è invece anzitutto finanza, ovvero ricerca di rendimenti, con strategie di mercato che però recuperano segmenti d’utenza al di fuori del mercato finanziario classico: risorse sprecate, invisibili ai radar del solo profitto, che si materializzano come enormi se viste con il criterio dell’inclusione. Lo scopo è riconciliare i due estremi: la creazione di profitto, non a costo della violazione di diritti e ambiente, ma attraverso il loro rispetto. Non beneficio massimo, insomma, malgrado le persone, ma con e attraverso le persone.
L’etica può essere evidentemente un buon affare, un segmento di mercato non marginale: secondo il primo Rapporto sulla finanza etica e sostenibile in Europa 2017), «la somma delle attività di finanza etica e sostenibile (…) è pari a 715 miliardi di euro: 5% del Pil dell’Unione; 39,80 miliardi, gli attivi delle circa 30 banche etiche e sostenibili europee; (…) 493 miliardi, gli investiti in fondi socialmente responsabili; (…) 2,54 miliardi i microcrediti concessi in Europa».L’eticità della finanza discende da una visione precisa, strutturalmente diversa dal paradigma classico, ma conciliabile con la ricerca di buoni risultati: «La finanza eticamente orientata (…) ritiene che il credito (…) sia un diritto umano. Considera l’efficienza una componente della responsabilità etica».
Oltre la trappola della povertà
Uno degli strumenti più celebri della finanza etica è ilmicrocredito, ossia la possibilità, estesa anche ad attori tradizionalmente “non bancabili”, di dare e ricevere finanziamenti. Il suo tratto distintivo è la taglia ridotta dell’investimento, che lo rende realistico, sostenibile, versatile: questo ne spiega diffusione e successo, in particolare in contesti economicamente non avanzati. Resa celebre dal Premio Nobel per la Pace 2006, Muhammad Yunus, e dalla sua Grameen Bank, la microfinanza è una realtà complessa, che può offrire molti vantaggi, materiali e immateriali, per un continente come l’Africa.
I benefici materiali del microcredito sono evidenti per i popoli africani, in ragione dei loro impatti immediati, di breve periodo, sulla quotidianità di individui e comunità, in materie come il contrasto della povertà materiale, la mancanza di reddito e la privazione di beni e servizi essenziali. «Da sempre, il vero punto debole delle economie africane è lo stock di risparmio privato– conferma Daniel, rappresentante di una delle maggiori banche etiche della regione di Dakar –. Le impellenti necessità quotidiane, legate alla ricerca dei servizi e dei beni più basilari e vitali, non consentono il risparmio e l’accumulazione di capitale, sua diretta derivazione». Questa situazione è all’origine del fenomeno noto come “trappola della povertà”: «I costi di entrata sono troppo alti e non permettono investimenti adeguatamente redditizi; del resto, gli scarsi investimenti offrono attività a bassa produttività, che non permettono rendita e risparmio sufficiente per affrontare tali costi. E così via, in una spirale dalla quale non si esce». Inoltre, la bassa produttività del settore privato implica anche un limitato gettito fiscale, dunque anche il risparmio pubblico non raggiunge la massa critica necessaria per incentivare investimenti o prestiti: «Un ciclo vizioso che si rinnova».
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In un simile contesto macroeconomico e sociale, la microfinanza è una possibilità concreta per eradicare la povertà e avversare il punto debole del sistema: un risparmio bruciato dalle necessità di famiglie prive di sostegno pubblico come privato. Il microcredito aiuta a diventare più sicuri, a uscire dalla disperazione economica. Anzitutto, i microprestiti permettono l’avvio di piccole imprese, fornendo reddito e combattendo sottoimpiego e disoccupazione. Inoltre, provvedendo a liberare liquidità, anche in piccole somme e con strumenti adattabili alle specifiche necessità, incrementano il consumo di prodotti come istruzione e salute. Questo ha un effetto moltiplicatore sugli standard di vita, migliorando benessere familiare, sicurezza alimentare, nutrizione, alloggio, standard igienico-sanitari e educativi, con effetti moltiplicativi sulla qualità del capitale umano (queste e le successive considerazioni sono ricavabili dal documento Onu Microfinance in Africa). I risparmi sono una riserva per spese quali rette scolastiche, cure mediche, eventi sociali, e un’assicurazione contro le crisi improvvise (malattie, calamità naturali, furti), eventi frequenti in Africa e sempre potenzialmente imminenti, capaci di gettare nell’indigenza persone che già vivono prossime alla soglia di povertà. «Soprattutto, questi piccoli prestiti liberano imprenditori e famiglie dall’incubo dei debiti e degli usurai. Ecco come il microcredito libera da quella paura del domani che azzera ogni ambizione».
Benefici non materiali
Agendo sul punto più debole, il microcredito può costituire il granello di sabbia in grado di inceppare il meccanismo del sottosviluppo. Soprattutto, può avere una funzione intermedia. Da sola, la microfinanza non eradica la povertà, con il ridotto impatto del finanziamento. Ma mette in moto meccanismiche evolvono in possibiltà di investimenti in abitazioni, imprese più forti, programmi formativi strutturati, educazione, salute, acqua e igiene pubblica, spezzando la trappola della povertà. Man mano che i clienti diventano produttivi, il loro reddito aumenta e sono in grado di accumulare risparmi per altri investimenti ed emergenze. Evidente è anche il potenziale di formalizzazione. La microfinanza, se ha successo, può evolvere in imprese medie o grandi, soggetti dell’economia formale: di fatto, una incubatrice imprenditoriale. Questo passaggio di livello, accompagnato dalle istituzioni microfinanziarie (Imf), libera risorse da sottoporre a tassazione, con un’incremento anche della possibilità di investimento pubblico.
Ma i benefici non materiali del microfinanziamento sono forse i più preziosi. La microfinanza si indirizza infatti alla povertà “immateriale”, quei blocchi sociali e psicologici che impediscono di realizzare il potenziale individuale e collettivo.
La microfinanza contrasta la povertà “immateriale”:
rimuove i blocchi sociali e psicologici che
ostacolano il potenziale individuale e collettivo
Avere reddito costante, anche minimo, accumulare risparmio, osservare disciplina per i rimborsi del prestito d’onore, aumenta infatti l’autostima personale e lo status sociale dei clienti, proprio nelle società che li relegano a un ruolo marginale. E una volta che il gruppo è rafforzato su un mutuo sostegno emotivo, che permette di superare crisi individuali e collettive, di collaudare fiducia reciproca, di guadagnare in efficacia rimborsando prestiti e rendendo produttive piccole aziende, questo clima relazionale resta coeso anche per altre iniziative extra-finanziarie: un patrimonio di civismo, spendibile in società.
L’organizzazione collettiva sopperisce a molte mancanze: mette insieme risorse e persone altrimenti isolate, con un incremento di sostenibilità, affidabilità, garanzie. La solidarietà di gruppo abitua a disciplina organizzativa, pagamenti assicurati, condivisione di informazione, riduzione di costi amministrativi. Le organizzazioni solidali, sostenute dalle Imf, fanno squadra e una volta insieme contrattano salari, condizioni di lavoro, ma anche servizi sanitari e assistenza all’infanzia, persino forme d’assicurazione per proteggere vite e mezzi di sussistenza e attività di lobbying per promuovere leggi specifiche o la costruzione di infrastrutture. «La fiducia delle persone fra loro, e soprattutto nel loro potenziale: questo è l’unico investimento sostenibile, l’unica cosa che fa la differenza», assicura Alexis, animatore di base di un istituto finanziario etico kenyano.
Una grande possibilità
La microfinanza è poi uno strumento per sua natura gender-oriented. Valorizza e finanzia attori solitamente esclusi del mercato, e in Africa questi attori sono soprattutto donne, escluse da prestiti e da progetti di investimento in settori non “bancabili”, per mancanza di garanzie e per radicati pregiudizi. Le donne acquisiscono il potere di parlare, e una volta cresciute in autostima rivendicano leadership, affrontando anche questioni al di fuori del lavoro e del risparmio. Per molte, il gruppo è la prima occasione per incontrarsi con altre donne, discutere e sviluppare azioni comuni, pensare insieme. I gruppi poi fungono da canale di informazione anche su temi altri, forma di aggregazione sociale con un potenziale di cambiamento della condizione familiare e comunitaria.
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La valorizzazione di capacità e tecniche locali e tradizionali rende inoltre duraturo e sicuro l’investimento. «Le esperienze straniere, per efficaci che siano, sono applicate in modo meccanico e inconsapevole, poco durature perché ignote, astruse, estranee, alla prima difficoltà abbandonate», osserva il documento Onu. Anche gli esperti stranieri, per autorevoli e ben intenzionati che siano, rischiano sempre di essere percepiti come paternalisti, fuori contesto, poco fiduciosi loro e – a loro volta – oggetto di limitata fiducia. «La valorizzazione delle tecniche locali è più culturalmente rispettosa, e questo è già di per sé etico». Le persone si sentono più sicure con metodi che conoscono da sempre, collaudati e sperimentati nella loro tradizione. L’approccio si fa partecipativo se il cliente è pronto a identificarsi e impegnarsi. Le pratiche di risparmio tradizionali sono certo da aggiornare, mai da rimpiazzare meccanicamente. Poi, certo, si parla di economia, quindi non tutto è perfetto. «L’Africa è il cimitero delle idee geniali per lo sviluppo. Nessuna illusione – conclude il paper Onu –, non ci sono magie per combattere la povertà, e neanche la microfinanza lo è. Ma si tratta di una grande possibilità, che può riuscire come fallire: tocca coglierla e fare uno sforzo per farla crescere. E sappiamo che la nostra nemica peggiore è l’improvvisazione: se la forza della microfinanza è la flessibilità dell’intervento e la capillarità delle iniziative, allora serve tanta ricerca per massimizzare la conoscenza del terreno. E soprattutto una rete fitta e sempre più efficace di esperienze».