Sierra Leone: oltre le proteste
Oggi a Makeni, nel nord della Sierra Leone, sembra una giornata come tutte le altre, il mercato è brulicante di persone e le strade sono un costante viavai di okada (moto-taxi). Non si direbbe che circa due settimane fa mezza città si riversava in strada per protestare contro il carovita, innescando la violenta reazione della polizia. Scontri si verificavano anche nella capitale Freetown e in altre città, causando circa venti morti tra i civili e sei tra le forze dell’ordine. Era mercoledì 10 agosto, passato alle cronache come “bloody wednesday” (mercoledì di sangue), e gli spari si sentivano distintamente in tutta la città, compreso il nostro quartiere. Allo scopo di porre fine alle violenze, il governo imponeva un coprifuoco dalle 19 alle 7, per poi rimuoverlo dopo tre giorni.
Ad oggi la situazione sembra essere tornata alla normalità, ma se il governo è riuscito a curare i sintomi, altrettanto non può dirsi per le cause delle proteste.
L’inflazione, al 28% nel solo mese di giugno, continua ad accanirsi anche sui beni di prima necessità quali cibo, carburante, ed elettricità, i cui prezzi sono aumentati vertiginosamente. Per fare un esempio, diesel e benzina sono passati da 12.000 leones (0,80 euro al cambio attuale) per litro a 22.000 (1,53 euro) nel giro di quattro mesi, da marzo a luglio 2022. Considerato che molti Sierraleonesi vivono con circa 600.000 leones (più o meno 41 euro) al mese, non è difficile immaginare l’enorme impatto di tali aumenti sullo stile di vita dei cittadini.
Oltre al coprifuoco, l’unica misura finora adottata dal governo per calmare le acque e contrastare il carovita è la riduzione del prezzo del carburante, che nel giro di una settimana è passato da 22.000 a 18.000 leones per litro. Un po’ come mettere una pezza al Titanic. Se non dovessero seguire ulteriori misure, non è da escludersi che possano esserci recrudescenze delle proteste. In un’intervista rilasciata all’emittente Al Jazeera, il Presidente Maada Bio ha ammesso che il suo governo non ha mezzi sufficienti per far fronte alle conseguenze della crisi economica mondiale dovuta a pandemia e guerra in Ucraina. Ha però sottolineato come le azioni intraprese dall’esecutivo abbiano garantito il flusso di merci essenziali nel Paese, evitando quella che poteva essere una situazione decisamente peggiore.
Avendo vissuto a Makeni negli ultimi due mesi e mezzo, siamo stati testimoni dei disagi crescenti causati dall’aumento dei prezzi.
A differenza di quanto sostenuto dal presidente Bio, la benzina è mancata per alcuni giorni nei mesi di giugno e luglio, destando non poca preoccupazione tra la popolazione. Abbiamo assistito al formarsi di lunghe file ai distributori, alla disperazione degli okada driver, e per un paio di giorni non abbiamo potuto comprare acqua a causa della mancanza di rifornimenti (dovuta all’impossibilità di reperire carburante).
La situazione attuale e le prospettive per il futuro
Reduce da una brutale guerra civile durata dal 1991 al 2002 la Sierra Leone è oggi un Paese pacifico e relativamente stabile da un punto di vista politico, ma estremamente povero nonostante sia ricco di risorse come diamanti, oro e altri metalli preziosi. Secondo la Banca mondiale, più della metà della popolazione, di circa 8 milioni di abitanti, vive al di sotto della soglia di povertà. A questo si aggiunge che durante la pandemia di COVID-19, la fragile economia del Paese si è contratta del 2%.
I prossimi mesi si preannunciano quindi incerti. Le varie forze politiche sembrano concordare sull’importanza di evitare ulteriori disordini in vista delle prossime elezioni politiche previste per il 24 giugno 2023. Tuttavia, in queste settimane non sono mancate le tensioni tra il partito di governo, il Sierra Leone’s People Party (SLPP), e il principale partito dell’opposizione, l’All People’s Congress (APC). L’SLPP ha infatti accusato l’opposizione di aver orchestrato le manifestazioni e gli scioperi, poi sfociati nel Bloody Wednesday. Dal canto suo, l’APC ha preso le distanze dalle proteste, condannando le violenze tramite un comunicato.
Il timore è che si arriverà alle elezioni in un clima di crescente tensione. Molto dipenderà anche dalle dinamiche geopolitiche internazionali, che sono ovviamente al di fuori del controllo del governo presieduto da Bio, ma che possono avere ripercussioni pesantissime sull’economia sierraleonese. Il protrarsi della guerra in Ucraina e l’ulteriore aggravarsi delle relazioni tra Stati Uniti e Cina avrebbero effetti deleteri anche per la Sierra Leone, mettendo alla prova la sopravvivenza della democrazia in questo angolo di Africa Occidentale.
La speranza per il Paese potrebbero essere i suoi leader informali, ovvero i leader religiosi e quelli tradizionali. I primi si riuniscono nel consiglio interreligioso, un organo super partes, custode della strabiliante tolleranza religiosa che contraddistingue la Sierra Leone. I secondi sono un antico retaggio delle società tribali; sono detti paramount chiefs (leader supremi), possono essere eletti solo tra un ristretto numero di famiglie, e governano su un determinato territorio. Proprio in questi giorni il Presidente Bio si è confrontato con il consiglio interreligioso e con il consiglio dei paramount chiefs. Se anche i due organi decidessero di non esporsi eccessivamente assicurando il supporto totale a Bio, l’auspicio è che possano mediare e adoperarsi per riportare pace e stabilità nel Paese.
A vent’anni dalla fine della guerra civile, i Sierraleonesi si trovano di fronte a un bivio: cedere nuovamente alla tentazione di risolvere i conflitti con la violenza, oppure continuare sulla strada della democrazia, del compromesso, e del dialogo tra etnie.
:: Per maggiori approfondimenti è disponibile il Dossier con Dati e Testimonianze sulla Sierra Leone “Pace fragile. Le ferite aperte a vent’anni dalla fine della guerra” – aprile 2022 ::
Aggiornato il 30/08/22 alle ore 10:24