Le parole di papà che porto sempre con me

Mi chiamo Edmond e ho sempre scelto di lavorare. Fin da piccolo, dai tempi della fattoria di famiglia a Peqin, paesino a sud di Tirana, dove aiutavo i miei genitori a coltivare il necessario per vivere e badavo al bestiame. In quei pomeriggi mio padre era solito ricordare a me, a mio fratello e alle mie due sorelle come il lavoro e la fatica fossero le basi su cui costruirsi una vita solida e felice. Queste parole me le sono portate dietro tutta la vita, come un bagaglio prezioso, da non perdere a nessun costo.

Certo, a volte queste parole mi sono sembrate una condanna. In più occasioni, infatti, ho dato loro la colpa per il mio carattere, troppo incline al lavoro duro e spesso diffidente rispetto ai lavori “da ufficio”, che considero noiosi e ripetitivi.

Durante la mia vita ho sempre svolto lavori manuali e faticosi, dalla fattoria della mia giovinezza fino al lavoro da muratore al mio arrivo in Italia, a Milano. Avevo sedici anni.

Iniziai nel 2000 per una ditta italiana con sede a Corsico, in provincia di Milano. All’inizio non avevo idea di come si mischiasse il calcestruzzo né di come si usasse una cazzuola, ma in poco tempo ebbi modo di imparare il mestiere e diventai un buon muratore. Ricordo quegli anni come un periodo felice della mia vita: ero giovane e in un nuovo Paese, lavoravo bene e la paga era buona.

Ma i guai sono sempre dietro l’angolo, e quando arrivano, arrivano tutti insieme. Nel 2006 la ditta per cui lavoravo inizia ad avere problemi finanziari e io, assieme ad altri miei colleghi, vengo licenziato. Sempre in quel periodo sono stato vittima di un’ingiustizia che ha segnato per sempre la mia vita e che tuttora mi perseguita. Pochi mesi prima del mio licenziamento andai a vivere in periferia con tre miei cugini, appena arrivati in Italia. Con il sogno di vivere stabilmente in una casa di proprietà, mi convinsero a fargli da garante per il mutuo.

Sono ormai sette anni che di quei cugini non ho più traccia: scappati senza preavviso, mi hanno lasciato solo con un debito enorme da pagare.

In un momento in cui pensavo di avere perso tutto, mi ricordai delle parole di mio padre. Fu così che mi diedi subito da fare per rimettermi in piedi e, dopo un anno passato in strada tra il dormitorio in via Ortles e la comunità di Villapizzone, nel 2007 il mio amico Rocco mi presenta a “Scarp de’ tenis”.

Ormai sono sedici anni che vendo il giornale e, grazie al loro aiuto e a Caritas Ambrosiana, sono riuscito a trovare una casa nel quartiere Giambellino a Milano e a ricostruirmi un futuro. Oltre al ruolo di venditore, lavoro anche come camionista, impiego che mi permette di avere tante libertà e di viaggiare quotidianamente.

Ora sono felice, e riesco a vivere la mia vita con più serenità e stabilità. Tutto ciò non sarebbe stato possibile se mi fossi lasciato abbattere, se non avessi incontrato persone disposte a darmi una mano,

e soprattutto se mi fossi dimenticato le parole di mio padre che, anche se adesso non c’è più, rimangono le mie più fedeli compagne di viaggio.

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Aggiornato il 07/12/23 alle ore 11:02