L’esperienza di un volto
Foto Caritas diocesana di Novara
L’esperienza di un volto don Antonio De Rosa .pdf
Sussidio “Insegnaci a pregare” … in preparazione del Giubileo 2025 .pdf
Catechesi sulla preghiera -37. “Perseverare nell’amore” Papa Francesco
“Spes non confundit” Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025
Siamo ormai vicini all’Apertura della Porta Santa che segnerà l’inizio del Giubileo. La celebrazione di un Anno Santo, le cui radici affondano nella tradizione ebraica del giubileo (yobel), un periodo dedicato al perdono e alla riconciliazione. Come cristiani, siamo chiamati a diventare “Pellegrini di speranza”, in cammino verso il Signore, che ci accoglie a braccia aperte nel suo perdono.
Nel percorso di preparazione Papa Francesco incoraggia a intensificare la preghiera per prepararci a vivere bene questo evento di grazia e sperimentarvi la forza della speranza di Dio. Attraverso la preghiera, potremo arrivare con un cuore pronto ad accogliere i doni di grazia e di perdono che il Giubileo offrirà, in quanto espressione viva della nostra relazione con Dio. Immergiamoci, dunque, con la preghiera in un dialogo continuo con il Creatore, scoprendoci nel suo volto.
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Dal Libro della Genesi (Gn 3,8-13)
8Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
ENTRIAMO NELLA PAROLA
La meditazione che segue è tratta dagli atti del 30° Convegno delle Caritas diocesane
Ogni esperienza di Dio, ogni autentica esperienza di fede, può essere ricondotta all’esperienza di un Volto, come esprime mirabilmente il Sal 27,8: «Cercate il mio volto; il tuo Volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo Volto».
Il volto come verità del sé
La ricerca del Volto di Dio è il caso serio di ogni credente, come dimostra la storia di Mosè, desideroso di vedere il Volto di Dio, senza esserne in grado, perché «nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es 33,20). Il Volto non connota soltanto Dio e la sua ricerca: il Volto è anche metafora dell’uomo nella sua più alta espressione. Si dice comunemente che l’uomo “ha un volto”, ma sarebbe meglio dire che l’uomo “è” un Volto. In effetti, il Volto concerne l’identità della persona, perché la definisce, la rivela, la mette in relazione.
Adamo, dove sei?
Gn 3,8-13 è una di quelle pagine bibliche che devono essere comprese come un “archetipo fondatore”, in quanto fondano e spiegano la storia di ciascuno, di ogni Adamo che si trova sulla terra, di ogni Volto che si incontra sul cammino della vita. È la storia di tutti, riportata “alle origini”. La domanda “Adamo, dove sei?” è la domanda sul Volto come verità del sé. Ci riguarda tutti, intimamente: come individui, come comunità, come Caritas, come Chiesa.
La domanda come invito a non nascondersi, a riconoscersi per ciò che si è
Nel racconto più antico della creazione, l’ingresso dell’uomo nello scenario dell’universo viene descritto con queste parole: «E il Signore Dio formò Adam dalla polvere della terra ed alitò nelle sue narici un soffio vitale e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn 2,7). Ecco il volto dell’uomo! Il testo ci dice anzitutto che l’uomo è ‘adam, e dunque “argilla, polvere”. Questo significa che il nostro orizzonte è costituito dalla fragilità, dal limite.
Riconciliarci con questa verità essenziale è principio di saggezza, perché la presunzione acceca e solo chi ha il senso della fragilità rincomincia sempre daccapo, con fiducia. Avere il senso della fragilità significa essere consapevoli che l’essere umano è sempre frammentario e frammentato, condizionato dalla parzialità nelle sue visuali e nei suoi progetti, nelle sue formulazioni e nei suoi giudizi. Il nostro primo dovere è di non fuggire di fronte alla realtà e di non voltare le spalle alla caducità che contrassegna le nostre intenzioni e le nostre opere. Questo ci rende umili e discreti nel confronto quotidiano con altri progetti e altri uomini che operano in strutture diverse.
La domanda “Adamo, dove sei?” ha però un’altra funzione: Dio vuole turbare l’uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata.
Di fronte a questa domanda non possiamo e non dobbiamo fuggire. Ogni uomo e ogni associazione, ogni comunità e ogni chiesa, è nella situazione di Adamo. Non possiamo sfuggire alla responsabilità della vita e delle scelte che ci sono richieste. Non possiamo sfuggire, anche se siamo costituiti essenzialmente dalla precarietà e dalla nudità.
La domanda di Dio come invito a riconciliarsi con se stessi
“Adamo, dove sei?” significa abbandonare la concezione che Dio possa essere “altrove”, oltre il nostro limite e il limite dei nostri progetti, oltre quel sentiero che stiamo percorrendo. Nella Bibbia, Dio non è altrove, ma “altrimenti”. E questo significa che si manifesta proprio là dove noi siamo: nella nostra storia e nella nostra vita, così come essa è; nella nostra parrocchia e nella nostra quotidiana fatica; in quei fratelli e sorelle con cui preghiamo, operiamo, speriamo. È nel luogo preciso dove siamo posti che risplende il Volto di Dio.
In fondo, la conversione di cui si parla nella Bibbia significa proprio questo. In ebraico “conversione” si dice teshuvah, che vuol dire “ritorno”; un temine caro ai profeti, che vedevano nel ritorno alla fedeltà, alla propria vocazione il segreto di ogni autentica trasformazione del mondo. Il conflitto con gli altri ha sempre radici in sé e questo significa che solo ritornando in se stessi, alla propria vocazione, là dove Dio ci ha posto, che possiamo ritrovare il senso di responsabilità l’uno di fronte all’altro, senza le alienanti accuse dell’uno contro l’altro (cfr. invece, Adamo ed Eva).
Ritrovare la centralità di Dio negli impegni quotidiani significa ritrovare il senso; un compito non solo necessario, ma indispensabile. Proiettati come siamo alle opere socialmente utili, all’impegno politico, alla costruzione di una città a misura d’uomo, talvolta dimentichiamo che solo la ricerca del Volto dà senso a ciò che facciamo e agli abissi di tenebra e di vuoto, di inconsistenza e di abbandono, che ogni vita comporta.
Aggiornato il 05/11/24 alle ore 13:15