L’altra faccia della stessa medaglia
 
                        
						
					
Il Servizio Giovani di Caritas Italiana ha lanciato la seconda edizione di “Tieni Tempo?”, che si è tenuta a Napoli dal 16 al 18 ottobre.
Un percorso intrapreso insieme ai giovani che ha portato alla relazione con gli altri e al desiderio di costruire un futuro insieme.
“CU ‘A CAZZIMMA E CU ‘A SPERANZA. La tenacia che resiste, la speranza che apre strade” è titolo scelto quest’anno: un richiamo alla città partenopea e alle storie di resistenza e riscatto che abitano il territorio.
Come giovane del servizio civile presso Caritas Italiana ho avuto la possibilità di prendere anch’io parte a questo progetto.

Questi giorni ci hanno ricordato quanto sia importante dare voce a noi giovani e quanto ciascuno di noi, nel proprio piccolo, possa essere un seme di cambiamento. C’è chi già sta camminando in questa direzione, altri invece stanno iniziando a muovere i primi passi…ma è proprio questo quello che abbiamo imparato: camminare insieme, ognuno con i propri tempi, ma con un unico orizzonte comune. “Dai giovani per i giovani” per costruire insieme una comunità più accogliente, capace di ascoltare e di mettersi in gioco.
Il primo giorno abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare le parole di Sua Ecc. Mons. Battaglia, Arcivescovo della Diocesi di Napoli che dopo averci raccontato la sua storia, le testimonianze di ragazzi che ha conosciuto, ci ha interrogati sul titolo del progetto. Ci ha chiesto: “Ragazzi, chi volete essere nella vita? Protagonisti o Rimorchiatori? Ci ha esortati a non fare le cose per piacere agli altri, ma di cambiare la nostra vita con cazzimma e speranza, a ripartire da noi.
Ci siamo interrogati su cosa sia la cazzimma: la cazzimma è quella scintilla ruvida che ti fa resistere anche quando tutto dice di no. 
La speranza, invece, è quella forza gentile che ti tiene in piedi quando il resto crolla. 
È credere che si può cambiare, anche se intorno sembra tutto fermo. 
Cazzimma e speranza insieme sono la spinta per non farti calpestare e la luce per sapere dove stai andando.

Il secondo giorno due educatori del carcere minorile di Nisida ci hanno portato la testimonianza di due ragazzi. Uno sogna di fare il cuoco, l’altro il parrucchiere. Grazie agli educatori e alla loro cazzimma sono riusciti a diplomarsi, a patentarsi, loro che nel mezzo della loro adolescenza hanno commesso qualcosa per cui gli è stato tolto tutto: la libertà.

Entrambi soffrono la mancanza delle loro famiglie, amici, ma allo stesso tempo non vedono l’ora di ritornare a vivere, di costruirsi una famiglia. Dietro ogni sguardo c’è forza, una ferita “ero qui dentro mentre è morto un mio caro”, una speranza “voglio crearmi una famiglia “. C’è chi vuole cambiare, chi vuole capire i propri sbagli e a loro va tesa una mano.
Abbiamo poi incontrato i giovani della Diocesi di Pozzuoli, giovani che aiutano altri giovani, per dare voce non solo a uno, ma a un gruppo intero. Sono stati affrontati temi come emergenza educativa, lavoro, protagonismo giovanile e crisi bradisismica. Pozzuoli, una città che trema, dove la gente, i giovani vivono costantemente con la paura che possa succedere qualcosa a cui una soluzione non c’è. Molti giovani cosa fanno, che intenzioni hanno quando tutto trema? Molti restano, affermando che quella è casa loro e che andandosene potrebbero pentirsi. Il pensiero di spostarsi altrove c’è ma è più forte il sentimento di amore nei confronti della propria terra.
Il terzo giorno ci aspettava il Rione Sanità con la Fondazione di Comunità “San Gennaro”, un posto dai muri scrostati che viene giudicato costantemente, un posto dove la gente ha paura di camminare per quei vicoli. La verità però è che anche da un vicolo può nascere un sogno capace di rendere protagonisti i giovani. La speranza ha vinto sulle critiche, sui pregiudizi e ora si respira aria di affetto e sostegno.
Abbiamo conosciuto don Loffredo, che in questi anni è stato impegnato nel recupero di giovani a rischio ed è stato uno dei fautori della cooperativa di ragazzi che gestisce oggi le Catacombe.
Don Loffredo dal 2001 ha messo in moto una trasformazione collettiva del rione segnato da un degrado urbano, da un abbandono di spazi storici e culturali, dalla forte presenza della criminalità organizzata, dalla scarsa offerta di lavoro per i giovani e dalla mancata fiducia nel cambiamento. Ha voluto i giovani protagonisti di questo cambiamento ed è grazie alla valorizzazione del patrimonio artistico-culturale, alla creazione di una cooperativa sociale, a laboratori che il Rione Sanità ha cominciato a essere considerato non solo per i problemi ma come un luogo di riscatto e innovazione.

Da partenopea sono partita sapendo di giocare in casa, ma non è stato così, non ero nella mia solita Napoli, ero nella Napoli che non avevo mai visto, mai vissuto, ero nella Napoli dei racconti. I racconti che mi hanno accompagnata fino ad oggi, fino a che vedessi l’altra faccia della stessa medaglia. I racconti sul bradisismo a Pozzuoli, i racconti sul Rione Sanità, quei racconti ora sono realtà, ho potuto ascoltare e guardare quello che mi era stato raccontato fino ad oggi.
Ho capito che la speranza è il coraggio di guardare in faccia la realtà, senza negarne le ombre, e scegliere comunque di credere che qualcosa di buono può ancora nascere.
Aggiornato il 21/10/25 alle ore 13:46Sperare non significa illudersi, ma seminare.
Anche nel terreno duro. Anche quando il raccolto sembra lontano.
Perché ogni seme, anche invisibile, porta dentro un futuro che ancora non si vede, ma che può fiorire.


