27 Novembre 2023

La razza non esiste. Il razzismo sì

Facciamo un po' di chiarezza. A partire dalle parole

Spesso vediamo sulla stampa e in TV persone che parlano di razzismo oppure di episodi di razzismo in Italia, soprattutto in riferimento a persone migranti, che a causa dei molti arrivi e della loro numerosa presenza sul territorio tendono a scatenare alcune reazioni controverse (tra cui razzismo, discriminazione e intolleranza).

Tuttavia, prima di parlare propriamente di razzismo, è importante capire meglio cosa si debba intendere esattamente per “razza”, visto che i due concetti sono intrinsecamente collegati. In effetti, la questione è oggetto da molto tempo di dibattito nel mondo accademico internazionale delle scienze umane e sociali.

A questo proposito possiamo notare dalla letteratura scientifica che numerosi ricercatori sono già d’accordo nel dire che

la “razza” è un costrutto sociale piuttosto che una caratteristica biologica immutabile. Le razze umane non esistono e ancora meno una “razza pura” da cui nasce l’idea della “sostituzione etnica”.

Però, non è stato sempre così nella storia, e l’idea di “razza” entrò in uso tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento: è quindi un’idea moderna. In quel tempo, autori influenti come Linneo (svedese), Johann Friedrich Blumenbach (tedesco) e Arthur de Gobineau (francese) erano tra gli intellettuali che affermavano che tutti i membri di una “minoranza razziale” possiedono gli stessi tratti (classificati come inferiori), che sarebbero trasmessi biologicamente e, di conseguenza, immutabili. Perciò, questi scienziati sostenevano che gli individui di pelle bianca (anglosassoni) fossero biologicamente superiori agli individui di altre “razze”. Questa linea di pensiero divenne nota nella letteratura di scienze sociali e umane anche come “razzismo scientifico” e “Darwinismo sociale”, in riferimento alla teoria dell’evoluzione della specie di Charles Darwin.

In quel contesto storico, l’idea di razza serviva non solo a marcare differenze tra i gruppi sociali, ma soprattutto a giustificare le diseguaglianze, la schiavitù imposta agli individui africani, la mancanza di diritti umani, la marginalizzazione ed esclusione sociale e una relazione di potere iniqua. Contemporaneamente, la promozione di questa idea ha contribuito a naturalizzare, rafforzare e mantenere una serie di privilegi simbolici e pratici associati alla “bianchezza”, comunemente associata ad attributi di carattere positivo come la modernità, l’intelligenza, l’integrità morale e la bellezza.

L’associazione tra questa dinamica e la falsa idea di razza ha fatto sì, di conseguenza, che nel tempo la realtà del razzismo si sia fortemente strutturata e resa onnipresente in molte società, inclusa l’Italia. Ovvero:

per evidenziare le differenze tra i bianchi “superiori” e gli altri “inferiori”, è stato necessario “razzializzare”, descrivere come una “razza” il gruppo ritenuto inferiore.

Ciò ha dato una forma di giustificazione al razzismo, che consiste fondamentalmente nel trattare gli individui non-bianchi in modo dispregiativo, nello sminuire il loro valore e nel ridurre le loro possibilità di mobilità sociale ascendente.

Ma nel luglio 1950 è stata rilasciata una importante dichiarazione, firmata da un gruppo di ricercatori di diverse nazioni, dal titolo “Fallacies of racism exposed” (Esposizione degli errori del razzismo), pubblicata nella rivista “Unesco Courier”.

Secondo i firmatari della dichiarazione:

  • In base alle conoscenze attuali, non esiste alcuna prova che i gruppi umani differiscano nelle loro caratteristiche mentali innate, sia per quanto riguarda l’intelligenza che il temperamento. Le evidenze scientifiche indicano che la gamma delle capacità mentali in tutti i gruppi etnici è molto simile.
  • Gli studi storici e sociologici sostengono l’idea che le differenze genetiche non sono importanti nel determinare le differenze sociali e culturali tra i diversi gruppi umani e che i cambiamenti sociali e culturali nei diversi gruppi sono stati, nella maggior parte dei casi, indipendenti dai cambiamenti delle caratteristiche innate.
  • Non ci sono prove che la mescolanza “razziale” in quanto tale produca risultati negativi dal punto di vista biologico. I risultati sociali della mescolanza tra persone, sia nel bene che nel male, devono essere ricondotti solo a fattori sociali.
  • Tutti gli esseri umani sono in grado di imparare a condividere una vita comune, a comprendere la natura della reciprocità e a rispettare gli obblighi e i contratti sociali. Le differenze biologiche che esistono tra membri di gruppi etnici diversi non hanno alcuna rilevanza per i problemi dell’organizzazione sociale e politica, della vita morale e della comunicazione tra gli esseri umani.

Questa dichiarazione ha rappresentato un’iniziativa collettiva molto importante e un punto di svolta per decostruire l’idea di razza come costrutto biologico e così anche, di conseguenza, per combattere il razzismo.

Nel 2008 la famosa scienziata italiana Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina, nel 70° anniversario delle leggi razziali fasciste, firmò una dichiarazione, assieme ad altri studiosi, in cui si affermava tra l’altro che

«le razze umane non esistono. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze psicologiche e interpretate sulla base di pregiudizi secolari».

Attualmente, nonostante il vecchio concetto “scientifico” di razza sviluppatosi nel Settecento e fino alla metà dell’Ottocento sia stato abbandonato dalla maggior parte dei ricercatori e degli scienziati delle scienze umane e sociali, è possibile osservare che l’uso del termine “razza” continua a essere presente nelle nostre società. E con esso purtroppo anche il razzismo, come già detto all’inizio di questo testo.

Sebbene i concetti sociali di razza ed etnia non siano esattamente sinonimi, a volte si trovano autori che li usano in modo intercambiabile e altri che semplicemente sostituiscono razza per etnia, che è considerato un gruppo con un patrimonio culturale e storico condiviso. I membri di una categoria etnica hanno antenati comuni, una lingua o una religione che, insieme, conferiscono un’identità sociale distintiva.

Tuttavia, nonostante queste concettualizzazioni e discussioni, il fatto è che, in mancanza di una terminologia più appropriata e condivisa, i termini “razza” ed “etnia” vengono utilizzati in modo pragmatico col proposito di svelare ed evidenziare le varie disuguaglianze (sociali, economiche, di salute, di accesso all’istruzione ecc.) e di fornire sussidi per la discussione e l’implementazione di politiche pubbliche per affrontare il fenomeno del razzismo e le sue conseguenze negative.

A questo proposito, è possibile notare che in Brasile, ad esempio, l’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica (IBGE) utilizza il termine “razza” nei censimenti della popolazione e in diversi rapporti ufficiali per fornire alla società dati rilevanti sulle condizioni di vita dei diversi gruppi sociali. Negli Stati Uniti, l’organizzazione Census.org preferisce utilizzare la combinazione di “razza” ed “etnia” nei suoi studi e rapporti ufficiali sulla popolazione americana. Nel caso del Regno Unito, l’Ufficio Nazionale di Statistica (Office for National Statistics) utilizza invece solo l’espressione “gruppi etnici” nei suoi studi sulla popolazione, piuttosto che il termine “razza”.

Possiamo concludere che, nonostante il fatto che il termine “razza” sia ancora presente nella nostra vita quotidiana, è molto importante

avere la chiara consapevolezza che esso non può più (o almeno non dovrebbe) avere lo stesso significato che aveva nel passato e che ha dato supporto allo sviluppo del “razzismo scientifico”, cioè la razza in senso biologico.

In secondo luogo, come dimostrano gli esempi di Brasile, Stati Uniti e Regno Unito, al di là dell’uso dei termini “razza” o “etnia”, i dati demografici (soprattutto riguardo ai gruppi sociali più vulnerabili) sono di fondamentale importanza per fornire solide basi di conoscenza alle politiche di riduzione delle diseguaglianze e per combattere le conseguenze negative del razzismo.

Infine: la lotta antirazzista rimane necessaria sia in Italia che altrove. Per questo la società ha bisogno di fare i conti con questo potente e antico sistema di dominazione sociale e di mantenimento dei privilegi per il gruppo sociale dominante, mentre gli “altri” rimangono socialmente marginalizzati e discriminati.