04 Novembre 2021

Cinzia e Htay, la ciotola e la pancia

In Myanmar, dopo il colpo di stato di inizio febbraio, la situazione economica precipita. E i giovani diventano prede di ideologie violente


Per Cyntia é la preoccupazione di ogni risveglio: cosa mettere nella ciotola oggi? Da febbraio, in modo progressivamente sempre più serio, lei, il marito e i tre figli hanno sempre più fame. I berretti verdi, i militari, di cui il marito stesso era stato membro nei decenni passati, avevano assicurato che non ci sarebbero stati problemi né di lavoro né di soldi. E il marito di Cintya aveva egli stesso catturato a suon di bastonate alcuni cani, le spie contro l’esercito, per consegnarle ai militari verso l’inizio di marzo. Ma poi il lavoro è mancato, il piccolo laboratorio di meccanico per scooter si è spento, e le promesse dei generali si sono seccate nei palmi vuoti delle mani. E ora si seccano anche gli stomaci dei ragazzi, con occhi sempre più grandi e domande senza risposta.

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La situazione della liquidità e, in generale, della crescita economica del Myanmar è estremamente seria: dopo il colpo di stato del 1° febbraio di quest’anno l’economia, già in difficoltà ma ancora fiduciosa in una ripresa post-pandemia, ha subito un rallentamento molto pericoloso. E ora rischia un tracollo pauroso. I prezzi dei beni di consumo aumentano continuamente, il costo del carburante è quasi raddoppiato, il peso della moneta locale (il kyat) è calato del 60% nei confronti del dollaro. E di conseguenza, aumentano le persone in povertà, come testimoniano fonti e istituti molto autorevoli.

Tutto ciò, mentre i militari sono anche i dirigenti di grossissime imprese con ramificazioni estere, fruiscono di importanti iniezioni di capitali e si arricchiscono sempre di più.

Condizioni di vita difficili nei villaggi del Myanmar (foto Caritas Internationalis)


Ferite reinfettate
Htay fino a giugno non sarebbe stato in grado di uccidere nemmeno un pollo per mangiarlo. Da allora, però, non solo non ha polli da mangiare, ma sa anche uccidere esseri umani. Il cibo è poco, cattivo e poco nutriente. Ma ora la sua pancia non sente la fame, sente solo la rabbia, la voglia di libertà e di vendetta. Dal suo impiego temporaneo in un negozio, nella capitale economica del paese, Yangon, è partito a giugno verso il Kyah State, suo territorio di origine. Aveva sperato che le manifestazioni di piazza, questa volta, avrebbero rovesciato i criminali usurpatori di potere. Ma ora confida in quel fucile da caccia per uccidere quanti più militari possibili, per dare sfogo al proprio sogni infranti, per sterminare la violenza dell’esercito. Con altra violenza.

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Il colpo di stato in Myanmar ha colto tutti di sorpresa, ha risvegliato una coscienza civile unitaria, attraverso il Movimento di disobbedienza civile (Cdm), ma anche riaperto e reinfettato le antiche ferite etniche, armando le mani di moltissimi giovani. Un elevato numero di ragazzi si è spostato dalle città principali verso le aree di confine, per combattere al fianco degli eserciti irregolari su base etnica; nel contempo, l’esercito regolare tenta di arruolare più o meno forzatamente nuove leve, a supporto della propria azione militare. Su entrambi i fronti bambini e giovani diventano vittime di arruolamenti forzati o di ideologia violenta.

Esistenze precarie: molti giovani provano la tentazione di imbracciare le armi (Caritas Internationalis)


Le parole di Dachen
Dachen, nel rifugio al limitare della città, da dove coordina le azioni del Movimento di disobbedienza, si chiede ogni giorno dove siano i potenti del mondo e perché si siano dimenticati cosi in fretta del suo paese, perché sia così assordante il silenzio delle grandi potenze, sempre pronte a spartirsi la torta dei minerali e del territorio del Myanmar.

Dachen ha lasciato il fratello maggiore, la madre anziana e un padre ormai perso nella geografia senza mappe della sua mente, per nascondersi, e continuare come un topo nella notte l’attività di informazione. Il suo diploma in inglese è una manna per il Movimento: può far sapere al mondo lo strazio del popolo in cattività.

Ma Dachen si chiede se i chilometri di parole scritte sinora siano mai arrivati negli Stati Uniti, in Europa o anche solo in India. E spera che ogni nuovo documento sia l’ultimo miglio per poter toccare la liberazione del Myanmar.

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La comunità internazionale, subito dopo il colpo di stato, si è attivata per ripristinare l’ordine democratico nel paese ma con modalità finora obiettivamente poco efficaci.

L’Asean, per mandato e per sua stessa natura, è l’organismo deputato al mantenimento dell’equilibrio nella regione del Sud-est asiatico, ovvero al rispetto della stabilità politica ed economica dell’area. Una riunione avvenuta a giugno 2021 nella capitale dell’Indonesia, Jakarta, ha portato i militari al tavolo, non ha riconosciuto la società civile organizzata del Myanmar, ed è riuscita solo nell’intento di produrre un documento di tante buone intenzioni, al momento del tutto disattese.

L’Unione europea si è invece dimostrata attiva e costante nel monitorare, da lontano, la situazione e ha deciso azioni politiche di una certa rilevanza, quali limitazioni di movimento dei leader militari birmani, il congelamento dei loro conti e richiami ripetuti al rispetto degli accordi.

Ma la situazione è molto complicata da interessi economici, politici e strategici regionali assai rilevanti, con i soliti attori asiatici (Cina, India e Russia) a spostare alternativamente i pesi sulla bilancia del conflitto.

Crisi birmana sempre più complessa: non può essere sciolta un nodo alla volta… (Caritas Internationalis)


Nessuno garantisce saggezza
Comunque la si osservi – da un punto di vista di sicurezza alimentare, di violazione dei diritti umani, di crisi economica, di lotta per le risorse, di intervento diplomatico, di conflitto armato, di unità nazionale, di divisione etnica o da qualsiasi altro punto di vista –, la situazione del Myanmar dal 1° febbraio 2021 è divenuta ancora più complessa di quanto già non fosse.

E la complessità, che non può essere sciolta un nodo alla volta, richiede la saggezza di una visione d’insieme che, pare, nessuno al momento sia in grado di garantire.

Intanto si sfilacciano le speranze di Cintya, Htay, Dachen, dei loro figli e di un intero popolo che assiste, talvolta affamato, a uno spettacolo inscenato da attori distanti. E maestri nell’eludere il drammatico, silenzioso grido della sofferenza che creano.

Aggiornato il 08/11/21 alle ore 16:24