19 Ottobre 2021

Il Reddito funziona. Se “accompagnato”…

Dalla ricerca Caritas sui beneficiari del Rdc che accedono ai suoi servizi, emerge che il supporto monetario serve. Ma non basta


Come ha influito l’attuale pandemia sui beneficiari Caritas e con quale gravità? E ancora, quale supporto le persone in difficoltà hanno potuto ricevere, sia tramite le misure di contrasto alla povertà nazionali che tramite i centri di ascolto Caritas e il lavoro degli operatori?

Sono alcune delle domande che hanno guidato uno studio condotto in estate da Caritas italiana, in collaborazione con alcune Caritas diocesane e con alcuni ricercatori esterni. Alla luce dei severi impatti che la pandemia sta provocando nel tessuto sociale italiano, l’obiettivo era comprendere nel dettaglio i bisogni reali dei beneficiari dei servizi Caritas, e quali interazione hanno con i servizi stessi, anche e soprattutto in relazione all’introduzione di una misura di rilevante impatto finanziario e sociale, quale il reddito di cittadinanza (Rdc).

Erronea percezione
Lo studio ha seguito due linee di indagine. La prima, di carattere più ampio, è consistita nella somministrazione di questionari a un campione rappresentativo dei beneficiari Caritas in 17 realtà diocesane: essa ha permesso di fotografare la condizione dei beneficiari Caritas immediatamente prima dell’inizio della pandemia e, successivamente, a un anno di distanza, ossia a fine 2020. La seconda indagine, più mirata, rappresenta un affondo conoscitivo dell’esperienze di vita di 23 beneficiari di Rdc seguiti dalle Caritas in 6 contesti urbani (Brescia, Trieste, Rimini, Prato, Messina, Cagliari).

La ricchezza delle informazioni raccolte ha permesso di identificare alcuni nodi e tematiche cruciali, utili per individuare al meglio le esigenze dei soggetti più bisognosi. Le due indagini, infatti, convergono su criticità specifiche, che possono rappresentare elementi di forte interesse se affrontate in una prospettiva di miglioramento, non solo della qualità della vita dei beneficiari Caritas, ma anche della fruizione che gli stessi hanno dei servizi Caritas.

La percezione della propria condizione di bisogno
non è scontata. Ammettere a se stessi di essere poveri
non è semplice: emerge una forte “vergogna sociale”

Un primo elemento di interesse riguarda l’erronea percezione che i beneficiari possono avere rispetto al proprio livello di povertà o bisogno. La percezione della propria condizione di bisogno è un aspetto tutt’altro che scontato. Come messo in evidenza dalle interviste, infatti, spesso ammettere a se stessi di essere poveri, e chiedere conseguentemente un aiuto, non è semplice: la povertà viene percepita anche come “vergogna sociale”. Non a caso, diversi intervistati hanno messo in evidenza la difficoltà di chiedere aiuto anche ai familiari e ai conoscenti più prossimi, e ciò innesca o consolida meccanismi di progressiva marginalizzazione. Allo stesso modo, l’errata percezione della propria condizione di bisogno può rappresentare una barriera nell’accesso agli strumenti di supporto.

La mancata domanda del Reddito di cittadinanza (Rdc) costituisce un chiaro esempio degli effetti nefasti della scorretta percezione del proprio stato. Dai questionari è emerso che, tra coloro che non hanno presentato domanda di Rdc, la motivazione principale riguarda proprio la convinzione di non rispettare i requisiti richiesti per l’accesso. Tuttavia, a un anno di distanza, oltre il 60% di coloro che nel 2019 avevano dichiarato di non aver ancora fatto domanda in base a tale motivazione, spinti anche dalla generalizzazione dello stato di bisogno innescato dalla pandemia, avevano presentato domanda e ottenuto il Rdc.

Fare attenzione agli ingressi recenti
Basterebbero questi dati per evidenziare l’importanza di un corretto supporto ai beneficiari Caritas, specialmente se si considera la progressiva modifica delle caratteristiche degli stessi, messa in luce dalle linee di ricerca. I dati, infatti, indicano che tra i beneficiari Caritas sono in aumento nuovi profili di povertà.

Tali profili riguardano famiglie caratterizzate da un’età giovane, dalla presenza di figli minori, con accesso al mercato del lavoro e, conseguentemente, la presenza di un reddito, anche se limitato. Queste famiglie costituiscono addirittura la maggioranza tra i nuclei familiari supportati nei centri di ascolto. D’altro canto, però, risultano essere meno tutelate dal Rdc rispetto ad altri soggetti sociali: la popolazione più marginalizzata, ossia le famiglie a tasso lavorativo e reddito familiare nulli, è comparativamente più “coperta” dalla misura.

Quindi, se da un lato l’erronea percezione della propria condizione di bisogno sociale rappresenta una questione potenzialmente trasversale ai beneficiari Caritas, la ricerca dimostra che è necessaria una particolare attenzione ai nuclei familiari di recente ingresso nella condizione di bisogno, poiché essi risultano essere, come i dati confermano, tra i più esposti agli impatti imputabili alla pandemia Covid-19.

È necessaria particolare attenzione ai nuclei familiari
di recente ingresso nella condizione di bisogno: sono
tra i più esposti agli impatti della pandemia Covid-19

Una “breccia” nella capacità di spesa
Le indagini hanno permesso di identificare altri elementi di particolare interesse, sia rispetto alla fruizione dei servizi Caritas che rispetto al Rdc. In relazione a quest’ultimo, nonostante la valutazione della misura nel complesso non sia totalmente critica, emergono questioni aperte. Se l’importo del contributo rispetto al costo della vita del comune di residenza risulta soddisfacente per circa due terzi degli intervistati, nelle famiglie con minori e nei nuclei di single è maggiore la porzione di coloro che reputa il supporto della misura insufficiente.

Inoltre, il previsto obbligo di spesa della totalità dell’importo nell’arco del mese di ottenimento dello stesso rappresenta un vincolo per la maggioranza delle famiglie intervistate. Quest’ultimo aspetto è vissuto in modo particolarmente problematico, specialmente se messo in relazione al mese di sospensione dal beneficio a seguito del termine del primo ciclo (dopo i primi 18 mesi di percezione continuativa del Rdc, è prevista una interruzione di un mese, dopo la quale si deve rifare domanda): dalle interviste emerge che la sospensione di un mese dal beneficio rischia di riaprire improvvisamente una “breccia” nel precario equilibrio dell’esistenza materiale delle persone. In buona parte dei casi intervistati, infatti, un solo mese di sospensione comporta il ritorno a una condizione di reddito zero e porta le famiglie a rivolgersi alla Caritas e ad altre organizzazioni di privato sociale per la richiesta di supporto economico e materiale.

Aiuto alimentare in un centro Caritas: diversi ospiti sono orientati al Reddito di cittadinanza

Inserimenti lavorativi, tallone d’Achille
Un aspetto critico che emerge con chiarezza da entrambi i filoni di ricerca riguarda, poi, i percorsi di inclusione. I beneficiari del Rdc che hanno avuto modo di sottoscrivere i patti per il lavoro (con i Centri per l’impiego) o per l’inclusione sociale (con i servizi sociali) risultano essere nettamente minoritari, rispettivamente il 21,4% e il 17,4%. Raccogliere il punto di vista dei diretti interessati ha permesso di capire meglio che cosa pensino, sentano e vivano i percettori della misura: siamo lontani dalla retorica sui cosiddetti “opportunisti del welfare”, che imperversa sulla stampa. Infatti, l’impossibilità di partecipare ai percorsi di formazione è vissuta con forte disagio dai beneficiari Caritas.

Alcuni intervistati hanno affermato di vivere la mancata attivazione di un percorso di inserimento lavorativo, o anche di utilità sociale (con i progetti promossi dai Comuni, i cosiddetti Puc), come un elemento di disagio, provando “vergogna” per il fatto di ricevere un sostegno economico, e allo stesso tempo di non essere in grado di acquisire una propria autonomia.

Inoltre, anche quando è possibile l’accesso a questi percorsi, emergono difficoltà notevoli. Le famiglie con forti tratti di marginalizzazione sono infatti spesso indirizzate prevalentemente non verso il più idoneo supporto dei servizi sociali, ma verso i percorsi di inclusione lavorativa. Percorsi che vedono, tuttavia, proprio nell’offerta di un lavoro il loro “tallone di Achille”: nessun beneficiario del Rdc preso in carico dai Centri per l’impiego ha dichiarato, infatti, di aver partecipato a un ciclo di corsi di formazione. Peraltro, l’importanza di tali interventi emerge chiaramente considerando il ruolo avuto dai servizi di orientamento lavorativo Caritas nell’anno della pandemia: i dati dei questionari indicano, infatti, il rischio di perdita dell’occupazione è stato contrastato, in molti casi, proprio grazie al supporto fornito dagli operatori Caritas, mentre i servizi pubblici non hanno saputo espletare questa funzione in modo efficace.

Complementare al welfare pubblico
In estrema sintesi, dalla ricerca emergono indicazioni utili rispetto al ruolo degli attori sociali, incluse le Caritas. In particolare, alcune delle questioni principali discusse sopra (la percezione del bisogno, i nuovi profili della povertà emergenti ma non intercettati adeguatamente dagli schemi di protezione sociale, i forti limiti dei servizi di accompagnamento sociale e lavorativo) mettono chiaramente in evidenza il ruolo strategico che può essere svolto dalle reti di prossimità territoriale, in funzione complementare al welfare pubblico. E in una prospettiva di orientamento e supporto dei più fragili e delle loro condizioni di vita, come nei mesi duri della pandemia molte Caritas hanno dimostrato di sapere fare.

* sociologo, consulente di Caritas Italiana
** sociologo – Politecnico di Milano

Aggiornato il 25/10/21 alle ore 23:34