Migranti: l’ennesima tragedia
Ancora un lutto a Borgo Mezzanone in Puglia. Ancora fiamme e fumo per le vie del ghetto dell’ex pista di Borgo Mezzanone dove, senza troppo clamore, nella notte del 23 gennaio scorso si è consumata l’ennesima tragedia annunciata perché qui la morte non è più una notizia e l’indignazione ha oramai lasciato spazio alla rassegnazione.
Quest’area fino agli anni 70 ha avuto un passato importante come aeroporto militare, con tre chilometri di pista, palazzine, uffici ed altre strutture. Oggi si è trasformata in una discarica di rifiuti e anche in un insediamento spontaneo di persone, prevalentemente cittadini stranieri, che non hanno trovato spazio e riconoscimento altrove e qui hanno scelto, loro malgrado, di fermarsi.
Come Ibrahim e Queen, cittadini del Gambia. Giovane coppia poco più che trentenne. Da anni vivevano in una baracca fatiscente dell’ex pista, e qualche notte fa sono morti a causa delle esalazioni di monossido di carbonio causate dal braciere a carbone che avevano acceso per provare a scaldarsi. Una coppia conosciuta da tanti qui, ai quali gli operatori di Presidio della Caritas di Foggia, il progetto di Caritas Italiana contro lo sfruttamento lavorativo, prestavano da tempo assistenza, solidarietà, conforto. In questi spazi, tra questi manufatti a cielo aperto, ci si muove con rispetto e pudore. Qui la povertà è difficilmente riconducibile ad una definizione perché oltre che della casa, del lavoro, e dei servizi igienici, si è privati del diritto ad esistere, ad essere riconosciuti come persone, ad avere un nome ed un cognome, un’identità, e con essa i sogni e le proprie ambizioni. In questa dimensione che non ha più un riferimento concettuale, “la Caritas sceglie di stare dalla parte degli ultimi, di occuparsi della tutela dei diritti dei più poveri” come dice don Marco Pagniello (direttore della Caritas Italiana), “e con la propria presenza in questi luoghi, si fa testimone di verità e pungolo verso le autorità locali e nazionali per denunciare una condizione sempre più inaccettabile”.
Ci sono luoghi in cui i migranti sono anche privati del diritto ad esistere, ad essere riconosciuti come persone
Al degrado di quest’area, nella quale vivono circa 1.500 persone che nel periodo estivo diventano anche 4 mila, si somma la precarietà lavorativa e lo sfruttamento. Si tratta infatti di persone in cerca di un’occupazione soprattutto nel settore agricolo, uno dei principali settori economici del territorio. Persone che si scontrano con le dinamiche perverse di un sistema produttivo che per essere competitivo indebolisce gli ultimi anelli della filiera agricola, agendo sui piccoli imprenditori ma soprattutto sui lavoratori, privandoli dei propri diritti, offrendo loro paghe misere e condizioni inumane e degradanti spesso sotto minaccia. Lo sfruttamento lavorativo è una piaga nel tessuto sociale ed economico del nostro Paese. Da anni occupa un posto nella discussione politica nazionale ma sul quale con fatica si riesce ad incidere. Da Nord a Sud si manifesta con la stessa intensità e con lo stesso cinico obiettivo, pur sviluppando dinamiche diverse da territorio a territorio, e soprattutto alimentandosi della condizione di isolamento e di vulnerabilità che vivono le persone vittime di sfruttamento.
Negli ultimi anni ci sono stati importanti interventi normativi per agire efficacemente contro il reato di sfruttamento lavorativo e caporalato e sono stati stanziati fondi europei per sostenere le azioni a tutela delle vittime di sfruttamento. Per una loro maggiore efficacia occorre sempre di più procedere con l’individuazione e la messa a sistema di nuovi paradigmi che rafforzino le politiche attive del lavoro e garantiscano la tutela dei lavoratori ma è quanto mai determinante investire sulle Comunità: talvolta subiscono l’ambiguità di un racconto tanto frettoloso quanto iniquo che attribuisce ai migranti che popolano luoghi come quelli dell’ex pista o edifici abbandonati nelle campagne, o i portici delle città del nord, l’insicurezza e il decadimento sociale. È invece necessario promuovere l’ascolto e la solidarietà, avvicinare e non dividere, declinare la comunità anche nell’incontro con la persona migrante che vive in queste condizioni e abita certi spazi perché è qui che si rivelano i tratti più intimi della sua umanità ed è qui che possiamo ritrovare l’Altro.
L’Animazione delle Comunità può essere una risposta al degrado e attivare processi di cambiamento
È in questa prospettiva che dobbiamo promuovere l’Animazione delle Comunità: un impegno pastorale della Chiesa in cui la Caritas può farsi strumento per attivare processi che producono un cambiamento. Una sfida che sui territori si scontra con le complessità del nostro tempo ma che possiamo affrontare attraverso l’ascolto e l’incontro con l’altro. “Dobbiamo riscoprire tutti la chiamata ad essere innanzitutto costruttori di comunità, – continua don Marco Pagniello – perché se con il nostro parlare e col nostro agire portiamo con noi i poveri, aiuteremo le nostre comunità ad includerli.” Riconoscendo loro un ruolo da protagonista nella comunità, portatore sano di storie di vita, esperienze, cultura e diritti, saremo capaci di costruire insieme nuove dinamiche, nuovi stili di vita e nuove opportunità.
Aggiornato il 06/05/23 alle ore 11:06