Che bello raccontare il giornale alle persone!

Gli amici di "Scarp de’ tenis", giornale di strada e progetto sociale, si presentano in questa rubrica. Stavolta tocca a Roberto: l'incidente, il coma, la ripartenza

La mia è una storia miracolosa. Era il 2008 e stavo preparando il pranzo nella mia casa in Veneto, sul cucinotto a gas che avevo sul balcone. Accendendo il fornello, mi sono trovato davanti a un’enorme palla di fuoco: la bombola si è incendiata ed è esplosa, demolendo il balcone e catapultandomi in strada. Mi si è aperta la testa, e mi si è rotta una gamba.

Sono stato in coma per un anno e se ci ripenso ho il ricordo come della voce di Dio che mi diceva di alzarmi, che quello non era il mio posto. Quando mi sono svegliato mi sono sentito miracolato, ma ho avuto incubi per molto tempo, sognando quella terribile esplosione.

Con un ferro alla gamba e ottocento punti in testa, dopo tre interventi chirurgici e un anno in coma, sono tornato a vivere, un passo alla volta.

Ho questa cicatrice in testa che mi ricorda quel giorno e da allora ho una forte balbuzie con cui devo quotidianamente lottare per comunicare.

Ma ho imparato da piccolo ad affrontare le difficoltà: avevo 6 anni quando mi hanno lasciato all’orfanotrofio, dove sono stato fino ai 18 anni. A quel punto sono andato al militare e sono diventato guardia giurata. È così che da Palermo sono andato in Veneto e ho preso un appartamento per poter ospitare mia moglie: ci eravamo sposati giovanissimi e in caserma lei non poteva stare.

Avevo 22 anni quando successe l’incidente e la prima terapia dopo il coma è durata due anni. A quel punto però non ero più ritenuto idoneo a svolgere il mio lavoro precedente e ho dovuto ripartire da zero. Ho aperto una ditta come imbianchino e ho anche preso degli operai a lavorare con me. Però ho avuto problemi con le tasse ed è così che mi sono rivolto alla Caritas.

La Fondazione Solidarietà Caritas mi ha coinvolto nel progetto di “Scarp de Tenis” e oggi posso dire di essere un venditore da record. C’è chi vende 10 copie in un fine settimana, io ne vendo anche 100 o 200. Mi sono impegnato a migliorare la mia balbuzie perché non volevo diventarne schiavo. In questo modo, ho migliorato anche il mio italiano, dato che prima parlavo quasi solo il dialetto.

Vendere la rivista a Firenze non è facile: non basta aspettare davanti alla chiesa che le persone lo acquistino.

A me piace sfogliarlo, trovare gli articoli più interessanti e raccontarli alle persone: ecco perché in tanti lo prendono e vendo centinaia di copie. Ormai, in ogni parrocchia in cui vado, le persone mi conoscono e si fidano.

Mi sento un po’ come un fornaio: se ci vai a comprare il pane, è perché sai che da lui il pane è buono. Le persone ormai sanno che la rivista ha dei contenuti di qualità e che se glieli propongo è perché ne vale la pena. Non lo ritengo un lavoro per tutti: ci vuole fiducia e rispetto tra noi venditori e chi ci affida il lavoro, ma ci vuole anche passione per farlo al meglio.

Mi sento grato per questa occasione ed è anche per questo che faccio volontariato per aiutare chi ha bisogno. Nel frattempo, scrivo i miei pensieri positivi su Tik Tok: supero anche le 500.000 visualizzazioni e questo mi sprona ad andare avanti con positività.


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Aggiornato il 13/11/23 alle ore 13:45