Bambini ucraini: le porte restano aperte
È stato organizzato a inizio ottobre un momento online di confronto tra le famiglie che durante l’estate si sono rese disponibili a ospitare per alcune settimane uno o due bambini ucraini, provenienti da zone di guerra, martoriate, dove le sirene dei raid aerei risuonano costanti, preludio di fuga nei rifugi antiaerei. Le famiglie italiane coinvolte vivono nelle Diocesi di Chieti-Vasto, Isernia, Pescara-Penne e Milano.
La guerra è imprevedibile e, come tale, scardina i tradizionali meccanismi di progettazione di un’esperienza che, pur con qualche fatica, avrebbe dovuto essere preparata in ogni dettaglio. Questa imprevedibilità ha fatto sì che alcuni dei ragazzi che sarebbero dovuti partire non ce l’hanno fatta, lasciando una camera vuota nelle case di alcune famiglie pronte all’accoglienza. «Ci siamo ritrovati comunque con tutte le famiglie nelle serate che avevamo ipotizzato. La comunità si è attivata per l’accoglienza e, come tale, è rimasta unita e disponibile nel proprio modo di essere».
L’incontro di scambio è avvenuto un mese dopo che i ragazzi e i bambini ucraini erano tornati a casa, quando gli echi della guerra sono tornati a risuonare ancora più forti nelle nostre case e nelle nostre menti, nella fatica delle giornate ordinarie.
Il ricordo di quelle settimane di caldo estivo riporta a innumerevoli momenti di tenerezza, di sguardi stupiti di fronte a sorrisi che sembravano non arrivare mai, coperti dal velo di tristezza che porta la lontananza da casa, la guerra e la sua normalizzazione, la guerra e il fatto che questa ha spesso strappato legami vicinissimi: papà, fratelli, cugini, vicini di casa, amici.
Un’altra mamma legge tutto questo alla luce del fatto che «il mondo ha bisogno di bene»; ecco perché l’interesse legato a questa esperienza si è esteso anche a chi non ne fosse direttamente coinvolto come i colleghi e gli amici, ad esempio.
«La sua presenza ci ha rafforzato nella nostra vocazione di sposi, anche facendoci scoprire del tempo che non sapevamo di avere». Risuona forte la testimonianza di una giovane coppia che si è aperta all’accoglienza. «L’incontro con Alina (nome di fantasia) ci ha permesso di entrare in relazione anche con la sua mamma. Nonostante le comunicazioni fossero ridotte al minimo in quelle settimane, adesso ci sentiamo regolarmente, abbiamo conquistato la sua fiducia e, per loro, la nostra porta sarà sempre aperta».
Le teste basse, fisse sugli schermi dei telefoni cellulari, i momenti di solitudine, le “messe alla prova” date dall’età dei ragazzi, molti in pre-adolescenza o adolescenza, hanno scosso e interrogato tante famiglie: «Abbiamo visto e potuto testimoniare una grande Provvidenza che ci ha accompagnati. I momenti sfidanti ci hanno dato l’opportunità di lasciare la nostra zona di comfort». E ancora: «Certe volte, giornate ricche e gioiose non portavano neanche un sorriso sul volto di quel ragazzo o quella ragazza. Ma è soprattutto così, ci siamo detti, che si sperimenta la vera gratuità, nello stile del Vangelo».
Quasi tutte le famiglie riportano che i bambini e le bambine loro affidati erano perfetti, diciamo… “azzeccati” per ciascuna famiglia, pur non avendoli scelti, ovviamente. «Abbiamo sentito che c’era una mano che ci accompagnava: non ci siamo mai sentiti soli».
Poi c’è la storia di Sasha, che è arrivata senza sapere nuotare e che grazie «all’aiuto del mare» (e della tavoletta, all’inizio), ha imparato prima a stare a galla, e poi ad andare sott’acqua e a fare le capriole. «È tornata a casa urlando “I swim, I swim!” – raccontano i genitori ospitanti –. Noi le abbiamo insegnato a nuotare ma, forse, in realtà, è lei che lo ha insegnato a noi».
L’esperienza di ospitalità in famiglia dei bambini ucraini è stata organizzata da Caritas Italiana insieme all’Ufficio per la Pastorale della Famiglia della CEI e le diocesi coinvolte.
Aggiornato il 10/10/24 alle ore 11:59