09 Gennaio 2023

Quando la terra trema

Cosa ci possono insegnare anche vicende tragiche come i terremoti

Nella notte tra il 14 gennaio e il 15 gennaio del 1968, un violento terremoto devastò una vasta area della Sicilia occidentale, compresa tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Due scosse di terremoto di magnitudo 6.1 e con effetti all’epicentro, del nono grado della scala Mercalli, portano alla distruzione, pressoché totale dei centri di Poggioreale, Montevago, Santa Margherita Belice, Santa Ninfa, Gibellina e Salaparuta
che vengono rasi al suolo. Quasi 400 morti e un migliaio di feriti, circa 98.000 persone rimasero senza tetto: una ferita nel cuore della gente che ancora oggi, a distanza di 55 anni, non dimentica.


Gli inviati del telegiornale scoprirono che esisteva anche questo pezzo d’Italia, povero, poverissimo, di pastori e latifondi, di gente umili: il dramma della Sicilia commuove profondamente il paese. La Chiesa dette un contributo con l’allora mons. Riboldi (morto nel 2017), che si fece voce dei terremotati che lottavano per ottenere una casa, vivendo come loro, per anni, in una baracca di legno.


Fu la prima grande catastrofe nazionale del dopoguerra. Una tragedia della natura a cui si aggiungono alcuni dei mali che si ripeteranno puntuali in tanti altri disastri del nostro paese: l’impreparazione dello Stato, i ritardi nei soccorsi, gli errori nella ricostruzione Fiorella Cagnoni Valle del Belice terremoto di stato (Ed. Moizzi, pagine 114).


Popolazioni intere furono costrette all’emigrazione o allo squallore eterno delle baracche ed il prezzo più caro lo pagarono i bambini, Carola Susani L’infanzia è un terremoto (Ed. Laterza, pagine 154) all’epoca aveva quattro anni quando la sua famiglia si trasferì in una baraccopoli ed il suo è memoria viva, racconto di viaggio.


L’Italia è uno dei paesi a più alto rischio sismico della terra. Eppure, le calamità naturali che ne sono seguite, hanno riproposto il problema dell’assenza nel nostro Paese di una politica post-sisma. Si evidenzia, ancora una volta, l’incapacità storica di derivare dall’esperienza accumulata in un secolo di catastrofi un principio-guida della ricostruzione. Un principio-guida che non sia da reinventare a ogni terremoto, ma che si adatti di volta in volta alle diversità territoriali, sociali e urbanistiche. Basterebbe guardare, oltre che ai fallimenti di cui è costellato il nostro passato, a quelle esperienze positive – come il Friuli nel 1976, o l’Umbria e le Marche nel 1997 – che hanno saputo leggere la dimensione della catastrofe, tracciando un percorso virtuoso, volto non solo a soddisfare il bisogno abitativo dei senzatetto, ma anche a salvaguardare il patrimonio storico-culturale di un territorio. Giovanni Pietro Nimis Terre mobili. Dal Belice al Friuli, dall’Umbria all’Abruzzo
(Ed. Donzelli, pagine 116)