09 Febbraio 2022

Ragazzi che si recludono. Per vergogna

Gli “hikikomori”, fenomeno non solo giapponese. Adolescenti che rompono le relazioni col mondo, isolati in camera: all’origine, non una patologia

Il fenomeno si è sviluppato ormai in modo esponenziale, anche se per anni è stato considerato una questione tutta giapponese, una di quelle cose strane che fanno laggiù, come l’inchino e le cene seduti per terra. Stiamo parlando degli hikikomori, cioè gli adolescenti che rifiutano il mondo e si chiudono in camera per non uscirne più per mesi, se non anni. Adesso il problema è diffuso anche in Europa e in Italia. E sembra andare oltre le classiche forme del disagio adolescenziale; i giovani hikikomori, infatti, lasciano la scuola, abbandonano anche gli amici, interrompono ogni tipo di comunicazione, trascorrendo lunghissimi periodi in completo isolamento.

Ma qual è la spiegazione? Carla Ricci Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione (Franco Angeli, pagine 96) spiega che la società giapponese non approva gli hikikomori e finisce per definirli malati, anche se medici e terapeuti sostengono che non si tratti di malattia, almeno inizialmente: il giovane si isola per riposare, per reazione a episodi di bullismo, per un esame scolastico andato male. È poi, con il trascorrere del tempo, che la reclusione provoca patologie come psicosi, fobie, regressioni, violenza domestica.

Il fenomeno va valutato anche in ordine al contesto culturale e sociale d’origine. Giulia Sagliocco (a cura di) Hikikomori e adolescenza (Editore Mimesis, pagine 150), rilegge la sintomatologia hikikomori non solo come forma di lotta contro il male di vivere, ma inquadrandola nelle complesse coordinate dell’onore e della vergogna, proprie della cultura giapponese.

Il problema, però, non ce l’ha solo il Giappone. I primi casi italiani, sporadici e isolati, sono stati diagnosticati nel 2007; da allora il fenomeno ha continuato a diffondersi, seppure con numeri diversi da quelli giapponesi. Roberta Spiniello, Antonio Piotti, Davide Comazzi (a cura di) Il corpo in una stanza. Adolescenti ritirati che vivono di computer (Franco Angeli, pagine 304), hanno svolto la prima indagine organica sugli hikikomori italiani. A loro dire è difficile riconoscerne i sintomi, che possono essere confusi con quelli di una più comune depressione, anche se si tratta di due forme di malessere molto diverse.

«Chi è depresso -̶ spiega Piotti  ̶ tipicamente ha crisi di pianto, incapacità di relazione, continue lamentazioni su di sé e, nella sua sofferenza, c’è una forte componente di senso di colpa. Negli hikikomori, invece, il sentimento prevalente è la vergogna. Si vive come un fallimento la distanza tra il mondo che si è immaginato e previsto per sé e quella che invece è la realtà: tanto più grande è la distanza tra la realtà che si era idealizzata e quella vera, tanto più grande sarà la vergogna che si prova».

Ma come uscirne? Non esiste una “medicina”, forse è il segno che viviamo in una società che induce a stare sempre più soli; sicuramente è un campanello d’allarme che i nostri figli fanno risuonare. Dicendoci, in fondo, che quello di cui hanno bisogno è il nostro amore, e che si ritorni a stare più insieme.