Hiroshima 80 anni dopo

È un anniversario importante, quello dell’ottantesimo anniversario del primo uso bellico della bomba atomica, ad Hiroshima, il 6 agosto del 1945. E lo viviamo in un contesto in cui l’ipotesi stessa di utilizzo di questo tipo di armamenti sembra ormai normalizzato, e – anzi – rilanciato continuamente. Come in molti hanno rimarcato, quella data rappresenta un punto di svolta: c’è un “prima” e un “dopo”, nel momento in cui l’uso di un’arma, per quanto terribile, non ha a più a che vedere con la distruzione di una persona, di una città, di una comunità; ma allude direttamente alla distruzione della stessa umanità.
Viviamo in un tempo in cui è difficile parlare di pace.
Ma proprio in ragione di questa difficoltà è necessario riaffermare con chiarezza l’esistenza di un certo numero di “linee rosse” che separano la nostra umanità da un baratro il cui fondo non riusciamo neppure a vedere. Si tratta di un punto di svolta nella storia, che è stato ricordato in un convegno presso la LUMSA, promosso dal “Comitato per una Civiltà dell’amore”, assieme a un nutrito gruppo di associazioni cattoliche.
Il 7 Luglio 2017, dopo un decennio di azione da parte di ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari) e dei suoi partner, 122 Stati hanno votato per adottare un accordo globale storico di messa al bando delle armi nucleari, conosciuto ufficialmente come Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW). Questa nuova norma legale offre una potente alternativa ad un mondo in cui si permetta alle minacce delle armi di distruzione di massa di prevalere. Fornisce un percorso positivo in un momento di allarmante crisi globale.
Se mai c’è stato un momento per i leader internazionali di dichiarare inequivocabilmente la propria opposizione a questo tipo di armi, quel momento è ora.
Dal 2021 dopo la 50 ratifica, il Trattato TPNW è legge per tutti gli Stati che lo hanno ratificato: il trattato proibisce agli Stati di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare armi nucleari, o anche permettere che armi nucleari siano posizionate sul proprio territorio.
Ma l’Italia purtroppo è assente.
Sin 27 ottobre 2016, giorno del voto nel Primo Comitato dell’Assemblea Generale dell’ONU sulla risoluzione che chiedeva all’Assemblea Generale di approvare una conferenza di Stati per adottare uno strumento giuridicamente vincolante che prevedesse la messa al bando e lo smantellamento delle armi nucleari, il nostro Paese votò contro. Anche dopo quel voto, e nonostante le ripetute richieste da parte della società civile, l’Italia non ha partecipato alle conferenze in cui gli Stati hanno dibattuto sui grandi temi del disarmo globale per raggiungere, alla fine, una posizione comune e condivisa. Questo è il tema della campagna “Italia ripensaci”, che sollecita una mobilitazione in grado di spingere il nostro Paese ad aderire al trattato.

Si tratta di un tema difficile e scivoloso. Non è certo la riconversione in “energia pulita” l’argomento da utilizzare per promuovere il disarmo nucleare, in un tempo in cui si fa fatica ad ignorare le difficoltà tecniche ed economiche (oltre che sociali e politiche) nel promuovere il nucleare come fonte di energia pulita; e neanche la distinzione tra “armi cattive” (quelle nucleari) e “armi buone”, in un momento in cui rischiamo di investire in armi le risorse con cui invece dovremmo promuovere invece una società più coesa e attenta agli ultimi.
Si tratta di temi che vanno esplorati ed approfonditi. Ma sul no alle armi nucleari è necessario mantenere un alto livello di attenzione: la linea rossa che non dobbiamo valicare per non privare l’umanità di una possibilità di futuro.
Aggiornato il 07/08/25 alle ore 07:01