08 Agosto 2023

Finalmente si gioca. “Lontani” dalla guerra

Voci di bambini e ragazzi ucraini dai campi estivi in Lombardia

Foto: Ousmane Traore

Un cappellino con la visiera sulla testa. Due occhi scuri color nocciola che scrutano il mondo. Un sorriso gentile, ma birichino. Alla domanda: «Che cosa sogni di fare da grande?», Yarik, un bambino ucraino di 6 anni, mi risponde: «Army. Esercito. Voglio difendere il mio Paese». Gli occhi della sua mamma lì presente lo osservano con tenerezza e amore.

Yarik è uno dei cinquecento tra bambini e ragazzi che sono arrivati dall’Ucraina in Italia, cento di loro in Lombardia, più precisamente a Sondrio e a Ponte in Valtellina. Accolti dalla Caritas diocesana di Como e accompagnati da qualche mamma, i cento giovani hanno trascorso due settimane in cui hanno potuto ricordare quale sapore avesse la vita in un Paese dove non c’è la guerra.

In un Paese dove quando vai a scuola ti insegnano la geografia, la matematica, la musica e non a distinguere i vari tipi di ordigni che puoi trovare per strada.

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A Sondrio i bimbi possono giocare liberamente, senza temere il suono di qualche sirena. Quel suono stridente che precede l’arrivo delle esplosioni. Quando nell’aria sentono il rumore di un aereo sospendono i loro giochi e guardano con preoccupazione il cielo. Forse pensano alla loro terra, dove lo stesso rumore semina morte e distruzione. I pensieri corrono subito verso chi è rimasto a casa: verso i papà al fronte, verso gli amici più grandi che hanno imbracciato le armi per difendere il Paese. Ludmilla, guardando il cielo, si commuove. Pensa all’adorato marito scomparso più di un anno fa. Nessuno ne ha più avuto notizie, ma lei sogna ogni giorno il suo ritorno. Il suo bambino ha bisogno del papà.

Quanti pensieri e quante emozioni si agitano in quei cuori. Negli occhi si cela una sofferenza profonda che grida il dramma della guerra. Gli sguardi dei bambini raccontano in silenzio questo dolore. Molti di loro provengono dalle regioni orientali del Paese: Donetsk, Luhans’k, Crimea, Dnipropetrovsk. Le aree del conflitto più bollenti e calde, ai confini con la Russia. Lì i bimbi non vanno a scuola da più di un anno.

Privati anche della possibilità di socializzare, alcuni di loro hanno trovato rifugio nel proprio mondo interiore. Parlano poco e osservano molto.

Guardano gli altri compagni provenienti dalla parte occidentale giocare. Anche nell’ovest del Paese sono arrivati i venti della guerra, ma non hanno strappato ai bambini il desiderio di ridere e scherzare, di stare insieme e di giocare.

Una realtà, questa, che mette in luce una verità celata. C’è una spaccatura nascosta che divide il Paese in parte orientale e parte occidentale. Tale ferita affonda le sue radici nella storia e nella cultura di questo popolo, per poi manifestarsi sotto diversi aspetti. Uno tra questi è la lingua. Nella parte occidentale, più vicina culturalmente e storicamente all’Europa occidentale, la lingua più parlata è l’ucraino; in quella orientale invece, rimasta per secoli sotto il controllo della Russia, la maggior parte della popolazione è russofona.

Due anime in un solo Paese. Con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, queste due anime si sono in parte incontrate.

A unirle è un sentimento di amore per la propria terra e il desiderio di difenderla a qualsiasi costo. «Slava Ukraini!» grida qualcuno. «Heroiam slava!» rispondono i bimbi tutti in coro. «Gloria all’Ucraina. Gloria agli eroi». È il saluto nazionale ucraino. Uno slogan che viene ripetuto più volte e capace di entrare nel cuore anche dei più piccoli.

Foto: Mariano Bianco

Lo spirito di orgoglio per la propria nazione è molto forte. Lo si percepisce in ogni momento, soprattutto durante le uscite in montagna. Nello zaino di qualche mamma o di qualche bambino non può mancare, oltre ai panini e alla crema solare, la bandiera nazionale. La portano sempre con loro.  La tirano fuori, la agitano al vento, mentre qualcuno con il cellulare scatta la foto di quel momento. Poi una voce comincia a cantare. Altre voci si uniscono. Occhi fieri e mano sul cuore: «Non è ancora morta la gloria dell’Ucraina, né la sua libertà, a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora».

Con speranza mamme e bambini cantano, guardando al futuro. Un futuro che non lascia spazio alla presenza dell’“invasore” e dell’”aggressore”. Un futuro di indipendenza e di libertà. Per parlare di pace i tempi non sembrano ancora maturi. Le ferite sono troppo fresche e troppo profonde. Bruciano nella pelle e lacerano il cuore. Il dolore è grande, così come lo stupore. Nessuno avrebbe mai immaginato che la Russia avrebbe attaccato la sorella ucraina.

Russia e Ucraina, due popoli con una storia e un passato comune, che si trovano coinvolti in una guerra atroce. Soldati dello stesso sangue, uomini della stessa carne, appartenenti a due Paesi diversi. Ma a fare la differenza è solo la divisa che uno indossa.

In questo clima di grande tensione crescono i giovani ucraini. La guerra ha rubato loro la spensieratezza tipica di quell’età. Molti di loro sono diventati adulti troppo presto. I più grandi affiancano i più piccolini. Ognuno si prende cura di chi ha accanto.

Non importa se non è tua madre, non è tuo figlio, non è tuo amico: chi hai accanto è un tuo fratello. La guerra ha insegnato loro anche questo. A lasciare aperte le porte di casa a chi ha bisogno. Ad abbandonare le valigie in strada per lasciare posto in macchina a un passeggero in più.  A dividere quel poco cibo che c’è. Ad accogliere chi ha perso tutto.

È incredibile come da tanta sofferenza, da tanto dolore possa nascere anche tanto Amore. E mentre le bombe scoppiano e portano distruzione, i semi del Bene vengono piantati in quella terra, ferita e martoriata dalla guerra. Crescono in silenzio, senza fare rumore, ma rinfrancano i cuori, infondendo coraggio alle persone.

Foto: Federica Baron Cardin

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Aggiornato il 08/08/23 alle ore 11:01