Caritas e volontariato: gli inizi

Dalla fondazione di Caritas Italiana nel 1971 al Convegno sul volontariato del 1975, che guarda alla Comunità nel suo insieme, oltre il perimetro ecclesiale

Foto: Giuseppe Laganà

A fine articolo, alcuni preziosi materiali per approfondire

BREVI CENNI SUL PASSATO PROSSIMO: 1944-1970

Una presenza straordinaria caratterizza la Chiesa italiana in quegli anni in ambito caritativo: la Pontificia Opera Assistenza (Poa), sorta in piena guerra (come Pca, Pontificia Commissione di Assistenza) su impulso di mons. Ferdinando Baldelli che ne fu presidente fino alla morte avvenuta nel 1963, decisamente sostenuta da papa Pio XII, e che è stata lo strumento della carità del Papa durante la guerra e nel periodo della ricostruzione.

A livello territoriale le sue articolazioni erano costituite dalle Opere Diocesane di Assistenza (Oda), organizzazioni di diritto diocesano. Questa ramificata organizzazione assicurava l’aiuto che la Chiesa italiana riceveva dai cattolici americani sotto forma di aiuti alimentari, colonie per i bambini, cantieri di lavoro, sostegno all’azione pastorale delle zone più svantaggiate.

La Poa agiva in collaborazione con l’Onarmo (Opera nazionale per l‘assistenza religiosa e morale degli operai), anch’essa fondata da mons. Baldelli nel lontano 1921. L’Onarmo formava le assistenti sociali grazie a una rete di 22 Scuole superiori, dislocate in tutto il Paese, e un servizio di tutela medico-legale attraverso il Patronato Onarmo di assistenza sociale. Sono questi gli antecedenti che precedono le grandi trasformazioni seguite al Concilio Vaticano II non solo a livello pastorale,

ma anche nella visione che la Chiesa cattolica ha della propria identità come popolo di Dio e del proprio ruolo nel mondo.

Ci sono anche altri elementi da tenere in considerazione: la contestazione sociale e politica che trova il suo culmine, a livello internazionale, nel ’68 e che fa germinare pensieri nuovi, nuove forme d’impegno che vedono tra i protagonisti soprattutto i giovani. Papa Paolo VI, attento osservatore dei fenomeni sociali e politici, coglie tutto questo e prova a dare concretezza a una rinnovata teologia della carità ancorata al Concilio, ma anche operare dei cambiamenti su una vastissima rete di opere assistenziali, che richiedeva di essere rinnovata. Senza dimenticare che alcune di esse erano state coinvolte in scandali, al punto che la Santa Sede, nel 1970, chiese alla Conferenza Episcopale Italiana di istituire delle Commissioni diocesane che vigilassero sugli istituti assistenziali che operavano in nome della Chiesa Cattolica.

È in questo contesto che, sciolta la Poa con le inevitabili ricadute anche a livello delle diocesi che si vedevano private di consistenti aiuti, il 2 luglio del 1971 nasce Caritas Italiana, sotto la guida autorevole di mons. Giovanni Nervo che ne è il primo presidente, in stretta relazione con la Conferenza Episcopale Italiana.

È un passaggio epocale nella vita della Chiesa in Italia, perché in sostanza si passa da un ente erogatore di beni e servizi a un organo pastorale di promozione, animazione e coordinamento.

L’EREDITÀ DEL CONCILIO VATICANO II

Forte, quindi, dell’eredità del Concilio Vaticano II, e in particolare di quanto contenuto nella costituzione pastorale “Gaudium et Spes” (7 dicembre 1965), del mandato autorevole di papa Paolo VI, la scelta che Caritas Italiana compie sin da subito è di dare spazio alla profezia, nella duplice accezione dell’annuncio della Parola che ispira l’agire della Comunità cristiana in difesa della dignità dell’uomo, qualsiasi uomo, e nel farsi carico dei poveri, dei malati, degli esclusi, affiancando, alla necessità di organizzare le risposte alle vecchie e nuove povertà, la ricerca delle loro cause.

Nello stesso tempo riafferma il ruolo centrale della politica, dentro le Istituzioni, i partiti, con uno sguardo e un ascolto curioso e attento a tutto quello che, durante i primi “tumultuosi anni ’70”, si affaccia nel Paese: a partire da un maggior protagonismo della società civile portatrice di fermenti nuovi e che chiedeva di partecipare attivamente alle trasformazioni politiche e sociali. Si insiste in modo vigoroso e continuo che la risposta unicamente assistenziale ai bisogni è insufficiente; che

c’è bisogno dentro e fuori la comunità ecclesiale di una presenza e un impegno pastorale che promuova il passaggio dall’elemosina alla condivisione, la connessione sistematica tra carità e giustizia;

che è necessario essere coscienza critica nei confronti del potere politico. Tutte scelte scomode che scardinano un assetto consolidato negli anni e che devono essere sostenute dalle attività di studio, ricerca e formazione.

Infatti, se l’azione dello Spirito è indubitabile, c’è bisogno di una Comunità pronta e attenta ad accoglierne il soffio e concretizzarlo in azioni calate nella realtà sociale. In sintesi, nessuna fuga in uno spiritualismo disincarnato e neanche la trasformazione della Caritas in una sorta di “agenzia della carità” a cui delegare la risposta al disagio sociale.

Questo impianto teologico trova una sua declinazione anche nell’approccio al fenomeno del “nuovo volontariato”, se così lo possiamo definire, e che all’inizio è prerogativa di sparuti gruppi.

Mentre il volontariato tradizionale è centrato sull’assistenza tout court, quello nuovo non si limita a intervenire sul bisogno, ma anche sulle sue cause

e quindi assume una valenza politica a tal punto che diversi dei primi gruppi spontanei passano alla militanza politica in senso stretto. Sono anni in cui è grande l’impegno nell’ascolto di quanto si concretizza nei territori, nelle attività di formazione, documentate dalla grande mole di articoli contenuti nelle riviste “Italia Caritas” e “Italia Caritas documentazione”, così come è costitutiva dell’azione di Caritas Italiana l’interlocuzione con le istituzioni e le forze politiche.

LO STATO E IL VOLONTARIATO

Nel rapporto tra Stato e volontariato, il primo fatica a capire il secondo e il dato legislativo dà conto di questa difficoltà. Fino al 1975 solo due leggi, a livello nazionale, contengono alcune disposizioni che prevedono la presenza del volontariato: la legge 15 dicembre 1971 n. 1222 sulla cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo e la legge 22 dicembre 1975 n. 685 sulla disciplina e la prevenzione, cura e riabilitazione dei tossicodipendenti. Non esiste una normativa nazionale dedicata al volontariato come se esso non potesse essere considerato “oggetto giuridico autonomo” da parte delle istituzioni, forse per paura che un esplicito riconoscimento giuridico potesse sottrarre spazio ad alcune forme di intervento pubblico e, sull’altro versante, forse, il timore di essere ingabbiato e quindi ostacolato con delle norme nelle proprie modalità di azione.

IL CONVEGNO DI NAPOLI DEL 1975

Il Convegno “Volontariato e promozione umana”, del 27-30 settembre 1975 a Napoli, costituisce uno degli snodi più importanti. Promosso dalla Caritas Italiana con la collaborazione, tra gli altri, del Gruppo Abele, della Comunità di Capodarco, della Comunità di S. Egidio, delle Misericordie, provenienti da tutta Italia, si ritrovano presso la Cappella Cangiani, ospiti dei Padri Gesuiti, circa 400 persone tra sacerdoti, religiosi e soprattutto giovani, rappresentanti di un centinaio di gruppi, di appartenenze culturali diverse (che pagano di tasca propria viaggio e soggiorno) e che mettono a confronto esperienze, forme organizzative di impegno sociale con l’obiettivo di creare un’occasione di conoscenza reciproca fra i gruppi che in Italia operano nel volontariato, di costruire modalità stabili di collaborazione reciproca, di individuare alcune linee di fondo programmatiche e

uno stile comune, avendo come campo di azione la Comunità nel suo insieme, oltre il perimetro strettamente ecclesiale.

Una riflessione che centrava il suo focus sui reali bisogni presenti nella società italiana, sulle risposte che il Governo centrale e le Regioni, in particolare, avevano cominciato a dare con i programmi di politica sociale alla fine della prima legislatura regionale dopo l’istituzione delle Regioni nel 1970; e su quale contributo dare alla riflessione che la Chiesa italiana avrebbe condotto nel Convegno nazionale “Evangelizzazione e Promozione umana”, previsto per la fine del 1976.

I lavori partono con l’introduzione di mons. Giovanni Nervo sulle motivazioni alla base dell’organizzazione del Convegno, che sono essenzialmente tre: creare un’occasione di conoscenza reciproca tra i gruppi che in Italia operano nel volontariato; costruire forme di aiuto e di collaborazione reciproca; individuare alcune linee di fondo e uno stile di azione su cui avviare un confronto.

Proseguono con l’illustrazione del documento base del Convegno, esito del lavoro di due seminari di studio svoltisi nei mesi precedenti, presentato all’assemblea da Luciano Tavazza, presidente nazionale dell’Enaoli (Ente nazionale di assistenza agli orfani dei lavoratori italiani); procedono con la relazione di Armando Oberti sulle motivazioni umane e religiose a sostegno del volontariato, i lavori dei gruppi di studio e una sintesi finale, sempre a cura di Luciano Tavazza.

I lavori si chiudono con l’approvazione di una mozione da parte dei convegnisti che sollecita il Parlamento all’approvazione di una legge quadro sull’assistenza e le Regioni a legiferare sui servizi sociali, in cui si esprime altresì l’auspicio che tutti i gruppi di volontariato d’ispirazione cristiana operanti in Italia partecipino in modo attivo al Convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana su “Evangelizzazione e Promozione Umana”; invitano le istituzioni sia pubbliche che private a una maggiore collaborazione con il volontariato e in ultimo esprimono una vibrante protesta per la fucilazione nel settembre 1975 di tre studenti detenuti nelle carceri spagnole ad opera della dittatura franchista.

Nella relazione conclusiva di mons. Giovanni Nervo c’è il forte il richiamo alla forza ispiratrice del Concilio Vaticano II e in particolare dei documenti conciliari “Gaudium et Spes” e “Lumen Gentium”,

nella prospettiva di rendere la Comunità cristiana, anche attraverso il volontariato, testimone credibile del Vangelo della Carità.


APPROFONDIAMO

Relazione di mons. Giuliano Agresti al primo Incontro nazionale dei presidenti delle Caritas diocesane | Roma, 26-28 Settembre 1972 | “La Caritas nella Chiesa locale”

Relazione di mons. Giovanni Nervo | Brescia, 7 febbraio 1974 | “Compiti della Caritas diocesana nei confronti delle istituzioni e delle attività assistenziali della Chiesa locale”

Presentazione di Luciano Tavazza del documento base del Convegno “Volontariato e promozione umana” | Napoli, 27-30 settembre 1975

Archivio rubrica “Memorie per il futuro”

Aggiornato il 23/04/24 alle ore 14:21