31 Dicembre 2024

Giustizia riparativa: e la comunità cresce

Ad Agrigento il progetto sperimentale tra carceri, scuole e quartieri

PRIMA SCETTICI, POI APERTI ALLA NOVITÀ

Il progetto sperimentale di giustizia riparativa nel territorio diocesano agrigentino ha rappresentato un percorso di crescita per la comunità locale. Nato con l’obiettivo di introdurre e promuovere un concetto spesso sconosciuto, ha portato a risultati sorprendenti grazie a un impegno costante e a una serie di azioni mirate alla sensibilizzazione.

All’avvio del progetto, la maggior parte della popolazione non conosceva il concetto di giustizia riparativa. Per molti era un termine astratto e lontano dalla quotidianità. Abbiamo, quindi, organizzato una serie di incontri di sensibilizzazione rivolti a diversi segmenti della società: parrocchie, gruppi di volontari, scuole, professionisti, istituti penitenziari e giovani.

Questi incontri sono stati fondamentali per costruire una comprensione condivisa dell’approccio della giustizia riparativa. Abbiamo utilizzato varie pratiche per coinvolgere e stimolare il pubblico: cineforum, workshop interattivi, biblioteche viventi, incontri tematici, gruppi di discussione e simulazioni. In particolare, i giochi di ruolo si sono rivelati strumenti potenti per far emergere empatia e comprensione reciproca, elementi essenziali della giustizia riparativa.

Gradualmente, abbiamo osservato un diffuso aumento di interesse. Se all’inizio nessuno credeva veramente nella giustizia riparativa, con il tempo molte persone hanno iniziato ad accogliere un punto di vista diverso dal proprio. Questa evoluzione è stata visibile e tangibile: una comunità inizialmente scettica è diventata progressivamente più aperta e ricettiva verso un approccio nuovo.

UN PERCORSO PARALLELO TRA SCUOLE E ISTITUTI DI PENA

Un aspetto particolarmente significativo del progetto ha riguardato il percorso parallelo tra scuole e case circondariali. Gli alunni delle scuole hanno lavorato sull’analisi dei bisogni di un soggetto autore di reato e sul ruolo che questi potrebbero avere nell’approccio alla giustizia riparativa. I ragazzi hanno riflettuto profondamente sulle ragioni e sui sentimenti che possono spingere una persona a desiderare una seconda possibilità e un reinserimento nella società.

Parallelamente, presso l’istituto detentivo si è ragionato su quali potrebbero essere i bisogni delle vittime. Questo esercizio ha permesso ai partecipanti di sviluppare una maggiore consapevolezza e comprensione del dolore e delle difficoltà che le azioni spesso possono causare. È stato un momento di grande introspezione e umanità, che ha contribuito a creare un ponte empatico tra due mondi spesso considerati distanti e inconciliabili.

Agrigento. L’ingresso del Liceo Scientifico e delle Scienze umane “Raffaello Politi”, una delle scuole coinvolte

I RAGAZZI ENTRANO IN CARCERE, LA PERSONA DETENUTA PARTECIPA A UN’INIZIATIVA DIOCESANA

Il culmine di questo percorso è stato l’incontro finale, che ha visto i ragazzi entrare in carcere per confrontare le riflessioni emerse dai lavori svolti. Questo incontro ha permesso di mettere in luce come le esigenze di riconciliazione e riparazione siano profondamente interconnesse e fondamentali per la costruzione di una comunità più accogliente.

Un altro momento significativo del percorso ha riguardato l’ottenimento di una misura alternativa di una persona inizialmente ristretta presso la Casa circondariale, in seguito alla partecipazione ai laboratori; ciò gli ha permesso di prendere parte attivamente a un incontro di formazione diocesana. Durante questo evento, ha condiviso la sua esperienza e il percorso di responsabilizzazione che ha vissuto grazie agli incontri. Inoltre, in quell’occasione, è stato distribuito del materiale divulgativo prodotto con i contributi di entrambi i gruppi, trascritti e organizzati in opuscoli finali.

GLI INCONTRI DOPO LA RISSA NELLA MOVIDA

Quando abbiamo intrapreso questo percorso, eravamo consapevoli delle sfide che avremmo dovuto affrontare. Tuttavia, un recente episodio ha evidenziato come la determinazione e la fiducia nel progetto hanno piantato dei piccoli semi di cambiamento. Un istituto scolastico ci ha contattati richiedendo il nostro intervento a seguito di una rissa che ha coinvolto alcuni giovani a San Leone, frazione di Agrigento, zona della movida estiva, sul litorale. Ragazzi che erano amici si sono trovati coinvolti in un conflitto apparentemente banale, degenerato e sfociato in un’aula di tribunale.

Agrigento. Movida estiva a San Leone, frazione e principale lido della città

Da quell’episodio è nato un percorso lungo e complesso, durato oltre un anno, che si è sviluppato in modo graduale, senza un obiettivo rigidamente definito. Non si trattava né di riconciliare né di risolvere il conflitto, ma di osservare come il processo stesso potesse evolversi. È stato un cammino costruito passo dopo passo, un “fare facendo”, dove ogni fase ha rappresentato un tassello e ogni incontro, ogni dialogo, ha contribuito a tracciare il cammino.

Il percorso si è articolato in diverse fasi: inizialmente, si sono svolti incontri paralleli con i due gruppi separati, seguiti da colloqui individuali, mirati a favorire in ciascun ragazzo una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni e responsabilità. Col tempo, in quella trama di ascolto e riflessione, qualcosa ha cominciato a cambiare.

A un certo punto, si è considerata l’idea di un incontro collettivo, ma la maggior parte dei ragazzi non ha sentito il bisogno di affrontare quell’esperienza. Soltanto due di loro – proprio quelli da cui era nato il conflitto – hanno espresso la volontà di vedersi di persona. Tra questi, uno dei protagonisti iniziali della lite aveva partecipato agli incontri quasi per obbligo, sedendosi sempre in silenzio, chiuso nel suo mondo, con il pensiero fisso: «Perché dovrei parlare? Nessuno capisce davvero. E po, ‘sti cosi nun su pi mia (e poi, queste cose non fanno per me)». Dentro di lui c’erano solo rabbia e frustrazione, sentimenti che lo avevano accompagnato fino a quel momento.

CONSAPEVOLI E LEGGERI

Con il passare del tempo, tuttavia, quegli incontri hanno cominciato a smuovere qualcosa in lui. Per la prima volta, gli è stato chiesto non cosa fosse successo, ma come si sentisse. Questa attenzione alle sue emozioni lo ha spinto a riflettere e a prendere consapevolezza di un aspetto che fino a quel momento aveva ignorato: «Sentivo solo rabbia». Questo dialogo emotivo ha innescato in lui un cambiamento interiore.

La svolta è arrivata quando si è trovato faccia a faccia con l’altro ragazzo, quello con cui aveva avuto il litigio. Era terrorizzato, incerto su cosa dire e su quale sarebbe stata la reazione dell’altro. Tuttavia, quando l’altro ha cominciato a parlare, ha ascoltato e, per la prima volta, ha compreso il peso delle proprie azioni: «Ho ferito qualcuno».

Quando è stato il suo turno, ha alzato lo sguardo e ha trovato la forza di dire: «Mi dispiace». Quelle parole, semplici e inaspettate, hanno liberato entrambi da un peso che non sapevano di portare. È uscito da quell’incontro con una sensazione nuova, un sollievo che non aveva mai provato prima: «Non pensavo fosse possibile, ma mi sento più leggero con così poco». Questa frase invita a riflettere su come la giustizia riparativa non punti a risolvere il conflitto nel senso tradizionale, ma a favorire un riconoscimento reciproco delle proprie responsabilità, restituendo valore là dove è stato smarrito o non c’è mai stato.

Non si tratta di “risolvere” in senso immediato, ma di risanare la relazione, di guardarsi negli occhi e comprendere il peso delle proprie azioni. L’atto di responsabilità condivisa, infatti, spesso libera chi lo compie più di chi lo riceve, poiché consente di abbattere limiti interiori che impediscono di superare rancori e frustrazioni.

Ciò che inizialmente potrebbe apparire come un gesto semplice – una parola, un’ammissione, un momento di vulnerabilità – possiede in realtà una forza straordinaria: quella di alleggerire il peso di emozioni che sono state a lungo represse. Nel caso dei ragazzi, ogni singolo passo di ascolto e di riconoscimento reciproco ha avuto la capacità di dissolvere un fardello che, fino a quel momento, sembrava impossibile da portare. Eppure, a volte basta davvero “poco” per sentirsi più leggeri.

OGNI OBIETTIVO RAGGIUNTO È UNA RIPARTENZA

Il progetto sperimentale ha rappresentato un autentico trampolino di lancio: una volta concluse le attività previste, gli incontri di animazione della comunità e le iniziative di sensibilizzazione sulla giustizia riparativa sono proseguiti con rinnovato slancio. Questi interventi hanno continuato a coinvolgere attivamente scuole, parrocchie e anche il corpo di polizia penitenziaria operante all’interno degli istituti penitenziari.

Coinvolgere quest’ultimo gruppo ha presentato non poche sfide: come inizio, solo una minoranza degli agenti ha preso parte con un atteggiamento ricettivo e propositivo. Tale resistenza ha, tuttavia, evidenziato la complessità del cambiamento culturale necessario, confermando l’assoluta importanza di mantenere vive le azioni.

Parallelamente, i “Percorsi di responsabilizzazione” avviati all’interno delle Case circondariali di Sciacca e Agrigento hanno offerto ai partecipanti uno spazio prezioso di riflessione sulle conseguenze delle proprie azioni. L’iniziativa, articolata in sessioni di dialogo e laboratori di riconciliazione, ha riscosso un interesse tangibile e una partecipazione sentita. Attraverso piccoli gruppi di discussione e colloqui individuali, i partecipanti hanno potuto maturare una più profonda consapevolezza della propria responsabilità, tanto personale quanto collettiva. Questo percorso ha favorito, inoltre, l’acquisizione di strumenti per affrontare in modo costruttivo i conflitti che possono emergere quotidianamente in un contesto di detenzione.

In conclusione, il progetto sperimentale nella Diocesi di Agrigento ha dimostrato che, nonostante le difficoltà iniziali e l’assenza di obiettivi predefiniti, è stato possibile costruire una cultura della giustizia riparativa anche in comunità inizialmente estranee a questo concetto. I risultati ottenuti sono stati inaspettati e molto positivi, con un numero crescente di persone che hanno abbracciato un nuovo modo di vivere e gestire i conflitti. Siamo pertanto incoraggiati a proseguire su questa strada, consapevoli che il cambiamento culturale richiede tempo, ma è possibile e reale.

*operatrice della Caritas diocesana di Agrigento

Il 7 e l’8 giugno 2024 Caritas Italiana ha organizzato a Roma un Convegno sulla giustizia riparativa. Nella sezione dedicata, esiti, materiali, rassegna stampa

Aggiornato il 31/12/24 alle ore 13:16